Vanity Fair (Italy)

SIAMO NATE DUE VOLTE

La legge non li aiuta, ma in Italia sono sempre di più i igli adottivi che cercano i loro genitori biologici. Ora, grazie a Facebook, è più semplice. Come ci insegna la storia delle sorelle Valentina e Cristina che, dopo tanti anni, hanno ritrovato la mam

- di SILVIA NUCINI foto GIANMARCO VETRANO

La seconda nascita di Valentina e Cristina è rallentata dal vento forte che colpisce il anco dell’aereo e lo costringe a un atterraggi­o lento e agitato, come un travaglio. Da quando l’Etna è comparso nel nestrino, si sono fatte silenziose, forse solo ora consapevol­i che tutto quello che hanno sognato, immaginato, odiato e voluto da quando hanno memoria sta per diventare vero; vero come è vera quella donna che le sta aspettando da oltre un’ora all’aeroporto, che di nome fa Benedetta, ed è la loro madre. L’ultima volta che l’hanno vista Valentina aveva 4 anni, Cristina 2, ed erano in una casa famiglia di Sesto San Giovanni, provincia di Milano. Valentina si ricorda che aveva i capelli lunghi e scuri, Cristina niente, e forse le è stato anche utile non conservare nella memoria i dettagli di quella ragazza di 18 anni che le andava a trovare una settimana sì e una no, perché poi un giorno non si è vista più, e mamma è diventata un’altra. Valentina e Cristina sono state adottate da una famiglia di Stradella, vicino a Pavia. Papà ferroviere e mamma sioterapis­ta, due brave persone che le hanno cresciute in una casa piena di cani, buone intenzioni, qualche fatica e qualche silenzio, che entrava in scena ogni volta che le bambine chiedevano del loro passato. «Abbiamo deciso di cercarla cinque anni fa, di nascosto dai nostri genitori perché loro, alle nostre domande, rispondeva­no sempre evasivi, e qualche volta arrabbiand­osi, anche. All’inizio io e Valentina più che altro parlavamo, invece di fare. Anche perché di nostra madre conoscevam­o solo il nome, e niente di più. Non c’era nessuna traccia di lei in Rete, nemmeno un pro lo Facebook che corrispond­esse alla sua età: come si trova una persona tra milioni?», racconta Cristina, 26 anni, ex cassiera, ora disoccupat­a. Valentina, 28 anni, invece fa la biblioteca­ria part time: 3 giorni la settimana parte da vicino Piacenza, dove vive da sola, e va a lavorare a Milano, alla Fondazione Casa della Carità di Don Colmegna, il prete che 25 anni fa accolse Benedetta, incinta e con un’altra glia piccola per mano. Era piena di lividi e in fuga da un compagno violento. Quando il carrello tocca la pista, Valentina fa una battuta che non ricordo, Cristina chiude gli occhi e si stringe la borsetta dorata al petto. Sono sveglie dalle 5 del mattino, in aeroporto dalle 6.30 e comunque la notte non hanno dormito niente, hanno parlato, come fanno le sorelle nel buio. «Da sole non avremmo mai avuto il coraggio di fare questa lunga ricerca, ce l’abbiamo fatta perché siamo in due», dice Valentina. Lei è quella che per due anni, prima che tutto impazzisse, ha vissuto con mamma e papà, di cui ha portato anche il cognome prima dell’adozione. Le hanno detto che lui la picchiava, ma non ricorda nulla, nemmeno di quando la mamma l’ha buttata fuori dalla nestra della cantina in cui lui le aveva chiuse, per poi passarci anche lei, a fatica per la gravidanza, e andare via per sempre.

L’aria di Catania, appena fuori dal portellone, sa di mare. Valentina dice: prima di uscire e incontrarl­a, andiamo in bagno a fare la pipì. Delle due, lei è quella più difesa: scherza, nasconde l’ansia e l’emozione. Hanno trovato Benedetta mettendo un appello sulla pagina

Facebook Figli adottivi cercano genitori biologici, amministra­ta da Laura Perspicace, una trentacinq­uenne di Caltagiron­e che nel 2008 ha creato un gruppo Facebook con lo stesso nome per aiutare sua madre, adottata anche lei. «Mia mamma ha trascorso tutta la sua vita a domandarsi da dove venisse, vedevo la sua pena e non sapevo cosa fare. Mi è venuta l’idea di costituire il gruppo, e scrivere il suo appello. In pochissimo tempo hanno cominciato a contattarm­i moltissime persone chiedendom­i di pubblicare i loro messaggi. Non solo gli che cercavano i genitori, e madri alla ricerca dei gli, ma anche fratelli separati dall’adozione. Un mondo di persone con vite a cui mancano dei pezzi». Nel 2010 il gruppo diventa anche una pagina, per avere più probabilit­à che gli appelli siano indicizzat­i dai motori di ricerca, quindi rintraccia­bili anche senza passare da Facebook. Nessuno ha mai risposto alla richiesta della mamma di Laura, ma da allora la pagina è diventata il mezzo attraverso il quale molte persone si sono ritrovate. «Direi che un caso su tre si risolve, ma le probabilit­à di successo sono legate alla data di adozione: per quelle avvenute dopo il 1970 è tutto molto più semplice, perché le mamme sono più giovani e spesso hanno loro stesse un prolo Facebook», dice Perspicace. Che aggiunge: «Spesso le madri ritrovate stavano anche loro cercando i gli. Anche quelle che avevano rmato per rimanere anonime». La maggior parte delle donne, al momento dell’adozione, sceglie che il proprio nome non compaia sui documenti. Per la legge, i gli di madre anonima possono richiedere al giudice di conoscerne l’identità, ma ci sono delle condizioni: devono avere compiuto 25 anni, il giudice deve accogliere l’istanza – e non è sempre detto – e, ovviamente, la mamma, contattata dal Tribunale, deve dare il suo consenso. Il tutto richiede più di un anno, qualche spesa e una certa scioltezza nell’affrontare la burocrazia, a meno di farsi assistere da un legale – cosa non necessaria – ma così i costi lievitano. Internet è molto più veloce ed economico, anche se non si conosce il nome di chi si sta cercando: moltissimi appelli sulla pagina di Laura Perspicace assomiglia­no a messaggi lanciati in bottiglia: sono nato a X il giorno Y. Mamma ti cerco disperatam­ente. Valentina e Cristina sono più fortunate: nel loro messaggio hanno potuto scrivere Benedetta e il suo cognome e mettere anche le due foto che un’assistente di Don Colmegna ha dato loro. Le hanno solo da pochi anni, ma le hanno consumate, guardandol­e.

Il tragitto dal bagno alle porte automatich­e degli arrivi non è lungo, ma sembra innito. I loro passi sono lenti, appesantit­i dall’emozione. Se sono arrivate qui, a camminare lungo questa parete bianca che separa chi arriva da chi aspetta, è perché una ragazza ha letto l’appello di Cristina e ha cercato – chissà perché – Benedetta tra le persone in attesa di un alloggio popolare dal Comune di Catania. E l’ha trovata. Ha scritto alla glia e le ha detto: il nome c’è, le daranno la casa, ma non so dove abiti adesso. Valentina allora ha chiamato in Comune, le hanno risposto che c’è la privacy: indirizzi, loro, non ne possono dare. Ha richiamato il giorno dopo, una voce diversa e più disponibil­e ha risposto: aspetta. E poi: io ho un indirizzo, te lo do, ma noi non ci siamo mai parlati. «Ho cercato sulle Pagine bianche: non c’era nessun numero di telefono a suo nome», racconta Valentina. «Allora una mia amica ha avuto un’idea: chiamiamo qualcuno che abita vicino a lei, la conosceran­no. Così lei, non io – io non ci riuscivo –, ha telefonato a una signora del civico aœanco, che ci ha rimandate a una cugina di mamma. La mia amica, sempre lei e non io, l’ha chiamata. Le ha detto due cose, due dettagli che solo io potevo sapere, per farle capire che non era uno scherzo». La cugina corre a casa di Benedetta, che sta lavando i piatti, le dice: le tue glie ti stanno cercando. Gli ho dato il tuo cellulare, adesso ti chiamano.

Quando la porta automatica si apre c’è un muro di gente che aspetta: non si sa da che parte guardare. Occhi, mani, cartelli, abbracci. Poi il cervello registra, nell’angolo esterno del campo visivo, un movimento frenetico. Valentina e Cristina girano la testa in sincrono, come per rispondere a un richiamo. Benedetta sta agitando le braccia in silenzio. Non corre nessuno: hanno atteso tanti anni, e adesso non c’è fretta. Lei rimane così, con le braccia spalancate, la faccia incredula di chi non si aspettava che la vita potesse farle questo regalo. «Mi dicevo: vedrai che non vengono, vedrai che cambiano idea. L’ho pensato no all’ultimo, anche quando sul cartellone degli arrivi, accanto al volo hanno scritto “atterrato”». Con Benedetta c’è Giovanni, suo marito: insieme hanno fatto 4 gli, ma lui ha sempre saputo di queste bambine e del dolore di sua moglie per averle lasciate. E oggi è commosso quanto lei, mentre le abbraccia come se fossero, anche queste, glie sue. Sedute al tavolo della cucina di casa di Benedetta e Giovanni, le ragazze ascoltano la storia di questa mamma bambina che aveva seguito al Nord il loro padre violento, di quel giorno in cui, compiuti i 18 anni, le dissero che doveva uscire dalla casa famiglia, e lasciare le bambine lì. Di come, tornata a Catania, ogni 10 giorni prendeva il treno di notte e risaliva a Milano per passare qualche ora con loro, del giorno in cui rmò qualcosa senza sapere cosa, e quel foglio era il documento per darle in adozione. Del dolore di dopo, che è nito solo in questo giorno di giugno pieno di sole e di maestrale.

 ??  ?? DOVE CERCARE Cristina, Valentina, Benedetta e suo marito Giovanni. A destra, Laura Perspicace, ideatrice della pagina Facebook Figli adottivi cercano genitori biologici.
DOVE CERCARE Cristina, Valentina, Benedetta e suo marito Giovanni. A destra, Laura Perspicace, ideatrice della pagina Facebook Figli adottivi cercano genitori biologici.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy