Il vermentino della libertà
Anche se non si direbbe, l’isola di GORGONA, di fronte alla Toscana, è in realtà una prigione. Dove però si produce, con grande fatica e passione, un vino tra i migliori d’Italia
AGorgona c’è un solo abitante: la signora Luisa Citti, tornata, dopo anni vissuti nella moda, dove era cresciuta, sull’unica isola penitenziaria d’Italia. Che a 37 km dalla costa, di fronte a Livorno, è un modello di carcere. Ancor di più da quando è iniziata nel 2012 la collaborazione con la famiglia dei marchesi Frescobaldi (sopra, Lamberto Frescobaldi, presidente di Marchesi Frescobaldi, frescobaldi.com) e l’istituto di pena, per la produzione del vino bianco chiamato Gorgona, un blend di vermentino e ansonica. E la dimensione da conte di Montecristo la si vive tutti i giorni, sulla pelle. Ci si alza alle sei. Alle sette ognuno inizia le sue attività, no al pomeriggio. Poi si cucina. C’è chi si occupa dell’orto, chi degli animali, altri del forno, degli alveari e del caseicio. E poi ci sono gli ulivi, ma soprattutto le vigne, dove tre detenuti, con gli enologi, seguono la coltivazione biologica di un ettaro di terreno riparato dai venti provenienti dal mare. Quest’anno si produrranno 3.700 bottiglie, ognuna diversa poiché particolari sono le condizioni di produzione. E a trasmettere questa caratteristica c’è anche la grande etichetta, creata da Simonetta Doni, che protegge la bottiglia. E sul continente il vino (eccellente) lo si trova da nomi importanti: nei ristoranti stellati come Da Vittorio a Bergamo, all’Enoteca Pinchiorri a Firenze, a Palazzo Petrucci a Napoli e ancora alla gastronomia Peck di Milano. Gli elementi di questo vino sono sempre quattro: la salinità del mare che mitiga le dierenze e dona continuità alle varie annate, terra, vento e impegno. «Tu lo bevi, ma hai idea di quello che c’è dietro?», dice Giuseppe Fedele, l’educatore dei ragazzi, che preferisce denirsi mediatore: «Non li educo, li ascolto e non li giudico». Così ogni domenica la signora Citti va a messa con i detenuti nella chiesetta. C’è anche chi, per sentire la voce del mare o il silenzio dei fondali, ha potuto frequentare corsi da sub e prendere il brevetto. In carcere fare qualcosa è sempre meglio che non fare niente. E perché allora non produrre un vino stupendo che è anche una chance per il futuro?