Guantánamo Express
Non è soltanto un carcere, le famose auto pastello anni Cinquanta non si vedono, i cowboy a cavallo fanno gare clandestine e al lavoro si va in locomotiva. Mentre Donald Trump attacca l’isola della Revolución e riesuma la guerra fredda tropicale, un fotog
Quasi nemmeno il tempo di riavvolgere le bandierine a stelle e strisce che erano state sparse in tutta la Habana Vieja il 20 marzo 2016 per accogliere Barack Obama, primo presidente americano a mettere piede sull’isola dopo 88 anni, che la tensione tra gli Stati Uniti e l’isola rebelde della rivoluzione è tornata. L’ha risuscitata senza preavviso e con un solo discorso Donald Trump, che lo scorso 16 giugno a Miami in pochi minuti ha riportato indietro l’orologio di oltre mezzo secolo dicendo senza mezzi termini e con toni da crociata anticomunista del maccartismo che la riconciliazione è annullata: «Con eetto immediato cancello l’accordo dell’ultima amministrazione con Cuba». Un passo voluto nonostante il 70% dei Cuban-Americans della Florida, oltre un milione e mezzo di persone, per di più in maggioranza conservatori e anti-castristi, fosse favorevole all’apertura tra i due Paesi e il 63% anche contrari all’embargo economico americano, el bloqueo, che all’indomani della rivoluzione cubana ha gelato i rapporti commerciali tra i due Paesi buttando Cuba tra le braccia dell’Unione Sovietica di Krusciov, ben felice di piazzare una spina nel anco americano nel Risiko della Guerra fredda a 107 chilometri dalla costa della Florida. È proprio questa l’atmosfera evocata dalla nuova Casa Bianca di Trump, ma oggi che la Cortina di ferro e il muro di Berlino (in quei giorni in costruzione) non ci sono più, anche al presidente più minaccioso dell’Occidente serve un extra di retorica. È vero che quando Fidel Castro, il nuovo capo ancora fresco di guerriglia, per pronunciare il famoso discorso all’assemblea dell’Onu che cancellò i rapporti tra i due Paesi tanto a lungo, atterrò a New York e prese alloggio con la sua delegazione di barbudos ad Harlem, in un piccolo hotel, il Theresa, amato dai jazzisti, per incontrare il leader nero Malcolm X aveva terrorizzato l’America. Ma è successo nel 1960, più di mezzo secolo fa. Oggi quasi la metà dei cubani della Florida ha votato (40%) per il secondo mandato di Obama, vuole andare in vacanza all’Avana o a Varadero, o a trovare i nonni, e non ce l’ha con Cuba come i sempre più radi anziani che aprivano il giornale ai tavolini del ristorante
Versailles di Little Havana a Miami augurandosi ogni mattina di leggere che Castro era morto (accontentati tardissimo: 25 novembre 2016, a 90 anni, il dittatore più longevo della storia). Infatti Trump dopo le frecce di odio e le minacce, ha precisato che l’ambasciata americana a Cuba però resta aperta, come quella cubana a Washington. E in più, non un dettaglio, il divieto per gli americani di entrare da turisti annullato da Obama e ripristinato da Trump vale solo per i viaggiatori indipendenti: tour organizzati, voli e crociere proseguiranno. Un favore ai grandi interessi, non si esclude anche suoi personali di imprenditore, ma una tragedia per tutti gli altri, i cubani fuori dall’Avana esclusi dal usso del turismo, che con l’arrivo di nuovi globetrotter dagli Usa avevano fatto partire una nuova piccola economia destinata proprio a chi viaggia fuori dalle rotte turistiche tipiche (Avana, Cayo Largo, Varadero). Sono lori i cubani che vedete in queste immagini, residenti che il fotografo Carlos Cazalis ha incontrato viaggiando per tutta l’isola, dall’Avana a Santiago, a Guantánamo. Non ci sono le auto d’epoca color pastello simbolo di Cuba, e spiagge cristalline, ma intere regioni rimaste come ai tempi di Che Guevara seduto sul trattore e della sua campagna per la conversione della canna da zucchero. In quella che conosciamo per il carcere di massima sicurezza americano ospitato nella base navale (Obama lo aveva di fatto smantellato come vergogna del mondo, per Trump è un ore all’occhiello, e ha stanziato nuovi fondi per migliorie e alloggi) ci sono i guajiros, i cowboy cubani, le ragazzine che vanno a scuola a piedi lungo la ferrovia come in Africa – la maggioranza qui è afrocubana, i discendenti degli schiavi di etnie diverse come i lucumí, congo, carabalí. «Il vero volto della nazione», racconta il fotografo. Del resto, la pace tra Cuba e l’America è cominciata in Africa: Obama e Raúl Castro, il fratello di Fidel, si sono stretti la mano per la prima volta a Johannesburg, nel 2013, al funerale di Nelson Mandela, in mondovisione. A Cuba nessuno se n’è dimenticato.