La luce, tra demoni e spettri
Passa da noi in concerto MARK LANEGAN, con il suo nuovo album e «un messaggio positivo» (Trump escluso)
Un baritono fumoso, corrosivo, quasi minaccioso: Mark Lanegan riuscirebbe a ipnotizzarti anche solo canticchiando una filastrocca. «Per me è difficile valutare dall’esterno con la stessa obiettività con cui apprezzo gli artisti che mi piacciono: scrivere e ascoltare sono due piaceri molto diversi», dice lui con l’aria di chi è intimidito dai complimenti. Gargoyle, decimo album solista, attualmente in tour tra Europa e America – in Italia il 9 luglio a Sesto al Reghena (Pordenone), il 10 a Gardone Riviera (Brescia), l’11 a Ciampino –, è tra i suoi migliori di sempre. «Forse perché quando si fa un’attività per oltre trent’anni, questa diventa come una seconda pelle e le cose accadono senza pensarci troppo», spiega Lanegan, 52 anni, originario di Seattle. Se lo chiamano «il re delle collaborazioni» è perché la sua voce si è fusa con una moltitudine di artisti, da Kurt Cobain ai Queens of the Stone Age, ma anche Moby, PJ Harvey, Soulsavers (di cui fa parte con l’inglese Dave Gahan dei Depeche Mode). Gargoyle l’ha scritto insieme all’inglese Rob Marshall: tra suoni folk, rock e un tocco d’elettronica alla Kraftwerk («li adoro da quando ero ragazzino»), Lanegan ci trascina ancora una volta nel suo immaginario gotico, fatto di spettri e demoni. Stavolta però si intravede anche qualche spiraglio di luce nei versi di redenzione di Old Swan: «È tra le mie preferite: per una volta, sento di dare un messaggio positivo». Però non chiedetegli di spiegare i testi, risponderà a mezza bocca: «Non è importante cosa significhino per me, ma per chi li ascolta». Sui social invece è più esplicito, visto che non manca di infilare commenti al vetriolo sulla presidenza di Trump: «Dovrei trattenermi solo perché sono un musicista? E poi vede, non sono io a essere esplicito, piuttosto è il comportamento di Trump a non avere bisogno di tante spiegazioni».