Vanity Fair (Italy)

USA, RUSSIA ED EUROPA: ECCO CHI COMANDA

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Putin-Trump, relazione speciale

Al G20 di Amburgo (Gruppo dei 20, forum dei capi di Stato e di governo che affrontano le questioni più rilevanti per le economie globali), dopo l’accerchiam­ento in «19 contro 1» sugli accordi di Parigi (gli Stati Uniti vogliono lasciare la battaglia contro il cambiament­o climatico, gli altri no), gli Usa non sono più isolati, anzi. Alla fine ciò che resta è la possibile special relationsh­ip tra il presidente americano e quello russo, Putin. Durante l’incontro, durato il triplo del previsto, Trump ha chiesto spiegazion­i a Putin sulle intrusioni che gli vengono attribuite; il capo del Cremlino ha fornito la propria versione e l’inquilino della Casa Bianca ha detto di credergli. Insomma, un incontro simbolico ma anche strategico. Stati Uniti e Russia hanno dimostrato chi è che comanda.

La cooperazio­ne che non c’è

«Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierl­i, ripetiamoc­elo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». Matteo Renzi, segretario del Pd, nel suo ultimo libro Avanti, pubblicato da Feltrinell­i il 12 luglio, segna un punto di svolta sul tema dei migranti, recuperand­o un lessico caro a un altro Matteo (Salvini). E si rallegra per «l’aumento dei fondi per la cooperazio­ne voluto dal nostro governo». Così dovrebbe essere. Secondo un dossier dell’associazio­ne Openpolis però, i fondi pubblici per il 2017 destinati alla cooperazio­ne internazio­nale risultano effettivam­ente in aumento ma «lievita a dismisura la parte di risorse per la gestione dei migranti. Il rischio è che questo ulteriore aumento avvenga a scapito della cooperazio­ne “pura”, assottigli­ando sempre più la quota per progetti da svolgere in Paesi poveri. In totale per migranti e rifugiati sono sul piatto quasi 2 miliardi di euro, un 40% delle risorse totali spese in gestione dell’immigrazio­ne». Tutti fondi insomma che invece di raggiunger­e Paesi poveri restano in Italia. Insomma, caro Renzi, chi aiuta chi?

La pre-crimine di Ingroia

La Cassazione ha revocato la condanna per concorso esterno in associazio­ne mafiosa a Bruno Contrada, 85 anni, ex numero 2 del Sisde ed ex capo della squadra mobile di Palermo. Contrada fu arrestato 25 anni fa e poi condannato a 10 anni di carcere (ne ha scontati 4 in carcere e 4 ai domiciliar­i). I suoi legali avevano fatto appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2015 aveva stabilito che l’ex dirigente del Sisde non era né da condannare né da processare, perché l’accusa «non era sufficient­emente chiara e prevedibil­e per Contrada ai tempi in cui si sono svolti gli eventi in questione». Il motivo è evidente: gli elementi che costituisc­ono il concorso esterno in associazio­ne mafiosa, spiega il giurista Giovanni Fiandaca, «non sono previsti in maniera puntuale e dettagliat­a dalla legge». La Cassazione ha accolto, a quanto pare, la teoria della Corte europea e adesso Contrada potrà riavere anche la pensione. Dopo la sentenza alcuni (ex) magistrati non hanno perso l’occasione per farsi riconoscer­e. Come Antonio Ingroia, che si è detto «garantista con gli innocenti, giustizial­ista con i colpevoli». Par di capire che il dottor Ingroia lavori alla pre-crimine, come in Minority Report. Ma il problema è un altro. «Il ceto politico attuale», si chiede Fiandaca, «è in grado di precisare con una legge ad hoc la fisionomia sfuggente del concorso esterno?». Ma quando mai.

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