VENUS FA CENTO
Sugli eleganti campi verdi di WIMBLEDON il mondo del tennis è catturato dalla saggezza della più grande delle sorelle Williams. Che raggiunge la centesima partita sull’erba
C ’è un momento in cui, prima di scoppiare in lacrime, si guarda altrove. Poi la testa si abbassa, cerca qualcosa, non la trova e arriva l’inevitabile onda. Stavate cercando di non piangere, ma è più forte di voi. Alla conferenza stampa dopo la prima partita vinta contro la belga Elise Mertens, la trentasettenne Venus Williams, al suo ventesimo Wimbledon e a vent’anni dalla sua prima finale in un torneo del Grande Slam, è in forma perfetta. In più, la sfidante che probabilmente le ha forse impedito di essere la più forte tennista della storia, sua sorella Serena, non le fa ombra stavolta. È all’ottavo mese di gravidanza, e assente. Ma Venus non sorride, si mette a piangere. Le hanno chiesto che cosa avesse da dire dell’incidente del 9 giugno a Palm Beach, quando il suo Suv si è scontrato con un’altra auto. Lei è rimasta illesa, un passeggero dell’altra vettura, Jerome Barson, 78 anni, dopo due settimane in ospedale, è morto. Lei si è dichiarata innocente, la famiglia Barson ha chiesto un grosso risarcimento. Chissà dove sono andati i pensieri di Venus. Se ha pensato alla morte, se vorrà pensarci alla fine delle gare, se la sua fede – è una testimone di Geova – le dà conforto. In quel momento la polizia non ha ancora diffuso un video che la scagiona, in cui si vede il suo Suv che arriva lentamente e impegna l’incrocio al verde. Saranno i 37 anni o le difficoltà che ha dovuto superare quando, nel 2011, le hanno diagnosticato la sindrome di Sjögren, una malattia autoimmune che provoca intorpidimento dei muscoli e fatica cronica: da qualche tempo Venus agli incontri con i giornalisti rivela le sue emozioni e fa un po’ di filosofia. Lo scorso gennaio, agli Australian Open dove è arrivata in finale con Serena – che l’ha battuta, già incinta –, ha detto: «È trionfo e disastro allo stesso tempo: è per questo che la gente vive e muore per lo sport, perché non puoi fingere. Non puoi». Venus, ormai, non si trattiene più. Tutte le Tv del mondo l’avevano ripresa ballare di gioia al termine della semifinale, quando era certo che avrebbe sfidato in finale la sorella a 14 anni dall’ultima volta. Poi, quando hanno premiato con la coppa Serena, e non lei, ha rotto il cerimoniale e preso in giro la «little sister», come la chiama: «Serena c’è sempre, in questi momenti difficili».
Venus ha iniziato a vincere nel 1997, l’estate in cui hanno ucciso Gianni Versace e Steve Jobs è rientrato alla Apple. Nel 2000, a vent’anni, ha vinto il primo Wimbledon. Poi è arrivata in finale altre quattro volte, trionfando sempre. Un giornalista le ha chiesto: che emozioni provi, con tutti i tuoi ricordi qui, quando entri nel campo, sull’erba? «Non so», ha risposto, «mi concentro sul tennis. Forse sono cose a cui penserò a carriera finita. È tutto solo un business». Ha detto proprio così: business. Non sappiamo chi andrà in finale a Wimbledon il 16 luglio, per chi sarà un trionfo o un disastro. Quello che si può dire è che Venus, alla sua centesima partita sull’erba, non finge.