Vanity Fair (Italy)

IN SINCRO CON I MIGRANTI

- di GABRIELE LIPPI

Con l’arrivo dei maschi nel nuoto sincronizz­ato (solo misto) a Kazan 2015, abbiamo conosciuto Giorgio Minisini, che portò a casa due bronzi, e poi due argenti agli Europei del 2016. Ora il sincronett­o è pronto per i Mondiali di Budapest, dal 14 al 30 luglio. Con una grinta maggiore, per far conoscere il più possibile la sua specialità e combattere la delusione: il misto è stato escluso all’Olimpiade di Tokyo 2020.

È stata una decisione dura da digerire? «Questo sport ha perso un’occasione, ha bisogno di aria fresca e ci sta mettendo un po’ troppo tempo a cambiare». Bisogna ancora lottare per il riconoscim­ento del sincro al maschile? «Sì, anche se rispetto a due anni fa abbiamo fatto dei progressi, la gente ha cominciato a capire. I Mondiali di Budapest sono un’altra occasione per far conoscere il nostro sport». Che cosa è cambiato nella sua vita in questi due anni? «Sono entrato nelle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia di Stato. Ora il nuoto è di fatto il mio lavoro. E mi alleno meglio». Vive ancora a Ladispoli? «Sì, ma passo la gran parte del mio tempo in ritiro collegiale, in albergo. Quando non sono lì, sto dai miei. Di fidanzate, però, preferisco non parlare». Da ragazzo la prendevano in giro per lo sport che faceva? «È successo. Ho quasi sempre evitato lo scontro, ma in alcuni casi ho reagito venendo alle mani. Da piccolo facevo taekwondo, mi ha insegnato a non attaccare, ma anche a sapermi difendere». Questo ha influito sulla sua crescita? «Sì, ho imparato a non arrendermi e a non avere pregiudizi, in tanti ambiti, come verso gli omosessual­i o i migranti». Proprio ai migranti è ispirata la musica di uno dei due esercizi che porterà al Mondiale. Come è nata questa scelta? «Volevamo un tema che fosse impegnato e non solo emotivo. La proposta è partita dagli allenatori e noi siamo stati subito d’accordo. È un tema che mi arriva dai telegiorna­li e non vivo da vicino, ma mi colpisce molto. Spesso ci si dimentica delle condizioni da cui arrivano queste persone, da cosa scappano, cosa affrontano per arrivare da noi».

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