COM’È UMANO
TELESPETTATORE,
Mio padre mi diceva sempre che la vera sfortuna è morire durante i mondiali, perché non ti si fila nessuno», ha raccontato Pierfrancesco Villaggio, dopo che si sono presentati in tantissimi per dire ciao, grazie di tutto, alla camera ardente del padre. E sembrava che stavolta nessuna nuvoletta avesse ostacolato i desideri: lunedì tre luglio Totti non ha firmato per allenare la Juve, un baco assassino non ha attentato agli iPhone del pianeta Terra. Non è successo niente di epocale, niente che potesse distrarci dalla scomparsa di questo grande, grandissimo artista capace di dare vita a classici che hanno segnato per sempre il nostro immaginario collettivo. Eppure, mentre quei classici la sera stessa andavano in onda spalmati su quattro canali, a vincere la battaglia dello share è stato Temptation Island, il reality di Canale 5 prodotto e benedetto da Maria De Filippi, dove sei coppie mettono alla prova la loro fedeltà. Nella più fantozziana delle maniere, insomma, la morte di Paolo Villaggio non è stata oscurata da qualcosa che succede ogni quattro anni o che non immaginavamo potesse succedere mai: ma da qualcosa che succede tutti i giorni, da tutte le parti.
La distanza fra quello che abbiamo bisogno di credere della persona che abbiamo vicino e la realtà di quella persona. La nostra infinita miseria, quando ci ritroviamo ad amare e a essere amati e, soprattutto, a passare dall’amarci allo stare insieme. Molti si sono già pronunciati sull’abisso di demenza che spalanca il programma, nel momento in cui i sei uomini vengono confinati in una parte dell’isola abitata solo da ragazze bellissime, seminude e pronte all’immediata comprensione delle incoerenze maschili, e le sei donne in una parte abitata da modelli che non sfruttano la fragilità femminile, anzi, la riconoscono come un valore prezioso. Aldo Grasso, il più moderato, sul Corriere ha scritto che «la De Filippi è bravissima a divertirsi con la morbosità facendo finta di disinteressarsene, a giocare sulle emozioni fingendo di non averne, a creare trash e, insieme, a crearsi il consenso universale», mentre Liam Gallagher si è dichiarato ufficialmente fan dell’analogo programma inglese e una scrittrice e giornalista come Caitlin Moran, sul Times, ha sostenuto che sia addirittura istruttivo per gli adolescenti. Ma lui? Lui, Paolo Villaggio, che cosa direbbe? Direbbe, semplicemente: com’è umano, lei. Lei telespettatore che poi siamo noi, tutti, se c’erano più di tre milioni e mezzo di persone, l’altra sera, a guardare tale Nicola che ha sbroccato quando la sua Sara si è accesa una sigaretta con uno degli amici single, lei che ha solo ventun anni, lei che non è possibile sia lei, perché Sara mia non fuma. Come siamo umani, noi. Noi che infinite volte, litigando, abbiamo urlato: «Se ci fosse una telecamera ti farei vedere quanto sei stato stronzo, quanto sei stata inopportuna!». E invece ci ritroviamo di fronte all’evidenza che neanche se ci fosse una telecamera, tantomeno se ci fosse una telecamera, l’altro smetterebbe di essere un pericolo per noi, oltre che un’occasione, e se ne renderebbe conto, smetterebbe di comportarsi così. Come siamo umani. Tirati per il collo dalla possibilità di un’isola e per la manica dal bisogno di casa. Bisogno che però, inevitabilmente, ci chiede di sacrificare un pezzo di noi. «Ma pensa un po’! Tu sacrifichi». Esplode il marito, dopo un anno di matrimonio, con la moglie, nel definitivo La felicità domestica di Tolstoj. «Ed io sacrifico: che potrebbe esserci di meglio? Uno scontro di grandezza d’animo. Che altro può mai dare la felicità domestica?». A Ugo e a Pina l’ardua sentenza.