Vanity Fair (Italy)

Verso Pina

- di ANTONELLA LATTANZI

Avevacompi­lato un modulo in tedesco. Non conosceva il tedesco. Se l’era fatto tradurre alla bell’e meglio. L’aveva spedito a Wuppertal, in Germania, era l’autunno del ’96, aveva appena compiuto diciott’anni. All’inizio della primavera le era arrivata la risposta. Non aveva capito cosa c’era scritto ma sapeva cosa doveva fare: il 1° luglio doveva andare a Wuppertal, e dare il meglio di sé. Non era, del resto, quello che aspettava da una vita, trovarsi lì, a Wuppertal? Per realizzare il suo sogno e per dimostrare a sé, agli altri, che lei era diversa da tutti, che se ne sarebbe andata davvero dalla sua città del Sud, che avrebbe costruito un destino e un futuro dal nulla, solo con le sue mani, come diceva il telefilm Saranno famosi, «col sudore»? Sì. La conoscente di sua sorella che anni prima aveva sostenuto quello stesso provino a Wuppertal le aveva dato un paio di dritte. Una era il modulo in tedesco. La seconda era: non ti preoccupar­e di affittare da qui – da questo paese al Sud – una camera d’albergo. Una volta lì, vedrai, c’è un bellissimo ostello. Ci sono sempre camere vuote. Vivrai e dormirai con quelli che sono lì per il tuo stesso motivo, ti divertirai. Lei aveva sempre diciotto anni e una settimana dopo il 1° luglio doveva sostenere gli esami di maturità. Gli amici le dicevano sei pazza, andar via prima degli esami. Non si fa. I tuoi non ti dicono niente? I suoi non dicevano niente, lei avrebbe voluto che le dicessero qualcosa, non si fa, partire una settimana prima degli esami, bisogna studiare; invece la madre le diceva vai, fa’ ciò che vuoi della tua vita, e il padre rimaneva muto, gli occhi doloranti, a succhiare sigarette seduto nella cucina al Sud. Studiava danza da quando era una bambina, voleva diventare una ballerina da sempre, a Wuppertal c’era un mito, non una persona, Pina Bausch, e quella era la sua occasione perché il suo sogno si avverasse. Doveva essere eccitata, emozionata, felicissim­a.

Non aveva mai preso l’aereo. Non sapeva come si faceva a prendere un aereo. Partiva senza sapere come viaggiare, senza un posto dove dormire, senza la minima idea di cosa sarebbe successo una volta arrivata lì, senza conoscere una parola di tedesco e pochissime in inglese. I suoi la portarono in stazione. Da quel paese del Sud sarebbe arrivata a Roma, da lì avrebbe preso l’aereo per Düsseldorf e poi da Düsseldorf sarebbe andata, in treno, a Wuppertal. Sulla carta era tutto razionale. Il viaggio in macchina dal paese del Sud alla stazione durava mezz’ora. C’era ancora tempo perché suo padre aprisse quella bocca e dicesse: rimani. Il treno partì e i suoi genitori scomparver­o, mentre sua madre salutava e suo padre la guardava. In

viaggio ascoltò la cassetta che le aveva registrato il suo fidanzato, in valigia aveva una sua maglietta, se ti senti sola. Lei quella maglietta la voleva ridurre a brandelli, era una zavorra che la teneva incollata a casa sua. Voleva essere sola, e libera, aveva un sogno e nessuno doveva mettersi tra lei e diventare una ballerina, tra lei e Pina Bausch, tra lei e il suo destino. Come si arrivava dalla stazione all’aeroporto? Sudata, il cuore che le scagliava bassi contro lo sterno, tutti i sensi all’erta, riuscì a guadagnare il check-in. Scomparve oltre i controlli di sicurezza. Le avevano detto che doveva cercare il gate, aveva due borsoni pesanti, uno per sé, l’altro con l’occorrente per il provino, le scarpe da punta, le scarpette rosa, i body, gli asciugaman­i, le ginocchier­e, i collant rosa, una tuta larga, grigia, il bagnoschiu­ma, il pettine, lo shampoo. Il secondo borsone gliel’avevano fatto imbarcare, camminava, sudata, con l’altro borsone appeso a una spalla, la spalla rigata, gocce di sudore che le scivolavan­o negli occhi. Mancavano due ore alla partenza. Lei correva da una parte all’altra chiedendo indicazion­i. L’aereo si sollevò con uno scossone.

Era un mare azzurro bucato da nuvole gonfie e spumose come nei disegni dei bambini, lei di colpo non aveva paura dell’aereo, del futuro, di niente, accarezzò il finestrino, poi si girò verso il suo vicino, un giovane uomo incravatta­to, e disse, lei dove va? Lui le sorrise distratto, mormorò qualche parola in tedesco, lei si sentì attratta da quell’uomo, giovane sì, ma molto più grande di lei, poteva avere trent’anni, si sentì bella, sì sentì felice, il suo fidanzato del paese del Sud già scompariva, e anche il suo odore, che era rimasto sulla maglietta che le aveva dato, poveri coloro che rimangono a vivere dove sono nati, che non addentano il futuro, non voleva tornare mai più indietro, costi quel che costi diventerò una ballerina, mi invidieran­no tutti. L’aereo ebbe un mancamento, lei guardò l’uomo in cerca di rassicuraz­ione, lui si girò a guardarla, le sorrise, è tutto a posto, le disse con un cenno della testa, lei aveva diciott’anni e sperava che le loro mani, le loro braccia, si sfiorasser­o. Lo perse subito al ritiro bagagli, lui tirò dritto, veloce, leggero, solo con una borsa a tracolla, lei si sentì di nuovo persa, vennero le voci in tedesco dagli altoparlan­ti, nella sua vita non le era ancora capitato di essere così sola. Se ce la fai, si disse, puoi fare tutto. Voleva che tutti la guardasser­o e dicessero, come sei coraggiosa, come sei brava. L’altoparlan­te disse qualcosa in inglese, lei non capì. Pensa di meno, le diceva la sua maestra di danza del paese del Sud, neppure lei l’aveva aiutata a preparare quel provino, quando le aveva detto che sarebbe andata da Pina Bausch aveva scrollato le spalle, e anche questo aveva dovuto fare tutto da sé, nella sua stanza aveva preparato una coreografi­a, l’aveva ripetuta allo sfinimento, adesso era pronta. Vide una biglietter­ia. Ogni piccola cosa che riusciva a fare, si sentiva più alta. Anche sua sorella, sua madre e suo padre si sfocarono, sparì la sala prove dove passava la maggior parte della sua giornata. Ora era lì. Riuscì a farsi capire, era la forza del coraggio, si diceva, riuscì a comprare il biglietto per Wuppertal e a capire dove si prendeva il treno. Partì senza un rumore, filando liscio sull’olio delle rotaie, prima contro un tunnel marrone scuro illuminato a neon poi, di colpo, contro un cielo azzurro chiaro che finiva in un corso d’acqua. Era il Reno, ma non lo sapeva, non aveva idea di dove fosse, in quale punto del mondo si trovasse. Si strinse i borsoni contro il petto, mimò un paio di passi di riscaldame­nto. Sto arrivando. Uscita dal sottopassa­ggio non c’era una città. Wuppertal era lontana, bisognava inerpicars­i a piedi su per una salita che non finiva mai. E lei era stanchissi­ma con quei due borsoni addosso che le segavano le spalle, non sapeva dove andava, non sapeva dov’era l’ostello, dov’era la scuola di Pina Bausch, non sapeva che prove avrebbe dovuto superare per diventare una di loro. E però l’aria era fresca, lei si guardava intorno e diceva questa, diventerà la mia nuova patria, questa, diventerà casa mia, casa di una ballerina col mio nome. Vi saluterò dal palco. L’ostello era pieno di ragazzi, proprio come aveva detto la conoscente di sua sorella. A gruppi o in coppia, parlavano fitto, ridevano, bevevano birre, erano diventati tutti amici. Sarò una di voi. Erano tutti lì per il provino, come lei. Fiera, eretta come una ballerina, orgogliosa di aver trovato anche l’ostello, da sola, senza nessun aiuto, andò alla reception. Poco dopo continuava a inerpicars­i sulle stradine vertiginos­e di Wuppertal, uno dopo l’altro non solo l’ostello, ma anche i pochi alberghi della città erano pieni. Calava il sole, la maglietta del suo fidanzato bruciava nel borsone, la invase il panico, cosa mi succederà? Le borse erano sempre più pesanti, lei saliva sempre più su, le mancava la sua città del Sud piattissim­a, liscia, affacciata su un mare abbagliant­e. Trovò posto solo nell’ultimo albergo. Pagò con quasi tutti i soldi che aveva. L’uomo della reception era scorbutico. Nella stanza, aprì il borsone e strinse la maglietta del suo fidanzato, il suo odore le smosse il ricordo di un abbraccio. Poi aprì il borsone di danza, si vestì di tutto punto, riprovò la sua coreografi­a. Fuori, Wuppertal era nera di notte, saettante di mille rumori animalesch­i, piena di natura verdeggian­te. Domani – aprì la finestra, guardò fuori e il buio le fece paura – domani, disse. Poi prese la maglietta del suo fidanzato, tornò alla finestra, e la lasciò nell’aria, che penzolava nella notte.

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