Vanity Fair (Italy)

PROPRIA ANIMA

RESTARE FEDELI SÌ, MA ALLA

- Caro Massimo,

Non sento più l’amore di mia moglie. L’amore è fatto di quotidiani­tà: chiedere come stai, dare un abbraccio o un bacio appassiona­to, tenere in ordine la casa, cucinare qualcosa di sano per i propri cari (anziché i soliti surgelati), caricare la lavatrice e la lavastovig­lie, organizzar­e un viaggio, fare l’amore. Tutto ciò da parte di entrambi. A parte il cucinare (non sono capace), dare baci appassiona­ti e fare l’amore (mi vengono negati da un paio d’anni), faccio tutto il resto. Lei no. E se provo a parlarle evita il discorso o si arrabbia. Vorrei cambiare vita, ma non lo faccio per i miei (i nostri) figli. Ho sbagliato la mia scelta e devo pagarne le conseguenz­e, come un delinquent­e che deve scontare la sua pena. —GINO

Sono una donna che ha scelto di vivere in un posto di mare con la sua compagna. Anche quest’anno le mie cinque amiche di Milano sono venute a trovarmi in vacanza. Sempre chiacchier­one, vivaci, forti, si lamentavan­o molto dei mariti: non le aiutano in casa, uno ha combinato disastri finanziari, un altro è spaesato dalla crisi e vive sul divano. Sostengono che per stare bene assieme al marito, a una certa età (abbiamo sessant’anni) basta l’affinità elettiva, provare gusto a fare le stesse cose. Solo che non hanno più neanche quella. Secondo me non basta, me lo insegna la mia vita fortunata con la mia compagna. Ci vuole amore, anche a sessant’anni o ottanta. Le mie amiche non lasciano il marito perché – dicono con sincerità – non hanno voglia di restare sole. Per loro è un motivo sufficient­e. Ma lo è? —BEBA Ho affratella­to due lettere che raccontano a specchio la stessa storia di matrimoni decotti che restano in piedi solo perché non sanno da che parte cadere, in quanto chi vorrebbe venirne fuori si è convinto, vedremo poi se a torto o a ragione, di non averne la forza. Ma non volendo passare per sfasciafam­iglie, bisogna prima porsi la domanda di rito: esistono margini di recupero? A giudicare dai racconti si direbbe di no. L’amore è una danza con continui cambi di passo per adeguarsi all’orchestra matta del mondo che suona canzoni sempre diverse. Quando una coppia di ballerini provetti non riesce più ad andare a ritmo fa bene a riprovarci, magari dopo essersi presa una pausa al bar. Ma se alla lunga i due si accorgono che la magia è finita e che si stanno pestando i piedi a vicenda, la soluzione più onesta rimane salutarsi in mezzo alla pista con un inchino, ringrazian­do l’altro per il tratto di vita danzato insieme. Qualche rimpianto rimarrà sempre, anche qualche rimorso. Ma i rimpianti e i rimorsi sono come i dubbi: guai a non averne, ma guai a farsene paralizzar­e. Nel frattempo l’orchestra ha già ripreso a suonare una musica nuova e bisogna ricomincia­re la danza. Sforzandos­i di rimanere sempre fedeli. Non a un’altra persona, ecco il punto, ma alla propria anima. Quando anima e partner tirano da parti opposte, bisogna scegliere fra tradire se stessi o il patto che ha perso la sua ragione di essere. Sono d’accordo con te, Beba: l’amore cambia con il tempo scavando nuove profondità, ma deve esserci a vent’anni come a ottanta. L’attrazione è una miscela di fisicità, carattere e psiche. Col passare delle stagioni le dosi del cocktail cambiano inevitabil­mente: quella fisica tende a diminuire e le altre ad aumentare. Ma devono sempre esserci, tutte. Se il legame si riduce a una convivenza obbligata tra parenti, non è più amore. So bene che il distacco è un trauma, una rivoluzion­e che coinvolge e sconvolge abitudini, certezze e vite altrui. I tuoi figli, Gino. Ma sei davvero sicuro che per loro sia meglio abitare un finto presepe attraversa­to da tensioni continue, piuttosto che avere due genitori separati che continuere­bbero ad amarli come e più di prima, ma probabilme­nte con maggiore serenità? Quanto alle tue amiche, Beba, la solitudine fa paura a ogni età, ma specie a una certa età. Eppure si può essere soli anche in coppia. Anzi, in coppia molto di più, perché oltre che soli ci si sente in prigione. Carichi di rancore verso la persona che non abbiamo la forza di lasciare. Uscire da certe gabbie non significa rimanere soli, ma ritrovare la libertà di non esserlo più.

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