Vanity Fair (Italy)

LA FRASE PEGGIORE PER LASCIARMI: NON VALE LA PENA

- Caro Massimo,

Sono una ragazza di 21 anni e proprio un anno fa mi sono lasciata alle spalle una relazione di quattro. Per via della «distanza», si è giustifica­to lui, ma in realtà le cose non andavano bene da un po’. Ora ho ripreso in mano la mia vita, eppure una frase che il mio ex disse quando decise di lasciarmi mi ha turbata parecchio e tuttora non riesco a digerirla: «Secondo me non ne vale la pena». Forse è una frase innocua, ma mi ha ferita profondame­nte: come può non valerne la pena dopo quattro anni insieme? Io e lui abbiamo fatto e condiviso tutto per la prima volta, provavo sentimenti davvero forti, per me ne valeva la pena. Così ho iniziato a pensare che forse la colpa è mia, forse dopo quattro anni non sono riuscita a farmi amare come avrei voluto perché ammetto di avere un carattere difficile. Sono diffidente, orgogliosa, a volte troppo fredda e distaccata. E ammetto che a me l’amore ha sempre suscitato ansia e paura, perché l’ho sempre visto come un’illusione che ti rende felice inizialmen­te per poi farti crollare e ritrovare in un inferno fatto di litigi e solitudine quando l’entusiasmo iniziale è agli sgoccioli. Forse ho quest’idea perché il mio primo esempio sono stati i miei genitori, separati in casa da oltre 15 anni e in continua guerra. Non hanno mai voluto divorziare per il «bene dei figli», peccato che, come ripetiamo sempre io e mia sorella, questo a noi fa solo male. Se il problema dunque fossi io? Se non fossi fatta per essere amata? Forse è per me che non ne vale la pena? —A.

La frase di congedo del tuo ex è stata infelice e rivaluta una lunga tradizione di commiati ipocriti che offendono l’intelligen­za dell’interlocut­ore, ma almeno non la sua sensibilit­à. «Ti amo, però in questo momento non me la sento di stare con nessuno». (Traduzione: non ti amo e me la sento benissimo di stare con qualcuno, purché sia qualcun altro). «Sono bloccato dal ricordo della mia storia precedente». (Non mi piaci abbastanza per farmi dimenticar­e la mia storia precedente). «Non cercarmi più: ho paura di farti soffrire». (Ti cercherò io, appena avrò un rigurgito di voglia o un calo di autostima, facendoti soffrire). «Siamo troppo uguali». (Con te mi annoio). «Siamo troppo diversi». (Non solo mi annoio, ma mi innervosis­co pure). Chi non ha usato uno di questi emollienti sentimenta­li almeno una volta nella vita, scagli il primo smartphone. Invece il tuo ex è stato brutale e forse incompleto. Al suo «Non ne vale la pena» mancava probabilme­nte un «più»: «Non ne vale più la pena». Perché altrimenti dovremmo credere che per quattro anni si era imposto un rapporto masochisti­co. Invece la vostra ha tutta l’aria di una storia che aveva esaurito la benzina ed è andata avanti sull’abbrivio ancora un po’, per poi fermarsi di colpo e di schianto, come succede alle macchine quando finiscono il carburante. Eppure quelle sue parole, magari innocue per altri, non lo sono state per te. Ti hanno risuonato dentro. Le unghiate inflitteci dall’amore non (più) ricambiato aprono squarci che ci costringon­o a guardare oltre la superficie delle emozioni, nei territori dell’anima o della coscienza, chiamala come ti pare. E non è quasi mai un bello spettacolo. Si soffre e all’improvviso ci si sente piccoli, inadeguati, incompresi persino da se stessi. Si riavvolge il nastro dei ricordi per cercare il germe che ci ha resi incapaci di suscitare l’amore altrui. E si finisce quasi sempre per trovarlo nei propri genitori. Che si sono separati, negandoci l’illusione di un amore indelebile. O sono rimasti insieme detestando­si, rivelandoc­i che l’amore indelebile è un’illusione. Oppure sono rimasti insieme amandosi, ma trasforman­do così il loro amore in una pietra di paragone soffocante. Puoi restare schiantata dal dolore della sconfitta. O trovare in quello squarcio che ti si è aperto all’altezza del chakra del cuore un tunnel per scavare nuove profondità e arrivare più vicina al tesoro. Conoscerti, accettarti, volerti bene. Si tratta di un percorso lento e sconnesso, punteggiat­o di craniate e incespicat­e, da compiere a testa bassa ma a schiena dritta: con umiltà e al tempo stesso con rispetto di sé. L’approdo già lo conosci: è il tesoro, sei tu. Quella vera. Quella per cui vivere è amare. E ne vale sempre la pena.

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ILLUSTRAZI­ONE ANDRƒ DA LOBA

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