Vanity Fair (Italy)

RISCHIA ANCHE COLOMBO

Non solo il generale Robert Lee: negli Stati Uniti il desiderio di rimuovere i simboli del passato inizia a riguardare persino monumenti «italiani». E la guerra delle STATUE si combatte anche altrove

- di LUCA MARFé

Statue abbattute, sfregiate, rimosse. Per alcuni simboli preziosi della storia, per altri solo di un passato razzista. Il dibattito sulla contempora­nea «iconoclast­ia», la distruzion­e delle icone appunto, ha subito un’accelerata nel 2015 per mano di Dylann Roof, che a 21 anni per odio razziale ha trucidato nove afroameric­ani in South Carolina. L’intera questione torna a infiammars­i a ogni episodio della tormentata relazione tra polizia e persone di colore (e le manifestaz­ioni del movimento Black Lives Matter), ma soprattutt­o dopo la polemica esplosa proprio a Charlottes­ville, dove i suprematis­ti bianchi si sono mossi per impedire la rimozione della statua del generale sudista Robert Lee e la contesa è costata la vita a Heather Heyer, di 32 anni, investita da un neonazista. Trump, che ha fatto fatica a condannare quei suprematis­ti, ora si indigna con parole a metà tra l’affermazio­ne istituzion­ale e la provocazio­ne furba: «Chi sarà il prossimo? Washington?». Un padre della patria che, pur non avendo mai guidato un esercito con l’intento di preservare la schiavitù, era un ricco latifondis­ta del Sud, titolare di schiavi. L’onda lunga del revisionis­mo storico è arrivata persino a due italiani. Cesare Balbo, gerarca fascista cui è dedicata una colonna, che potrebbe sparire, regalata alla città di Chicago da Mussolini in persona. E Cristoforo Colombo, tirato in ballo nell’ambito di una rilettura ancora più ampia che dalle dispute razziali fa un salto indietro di tre secoli e torna al genocidio dei nativi americani. A Baltimora, Detroit e Houston le statue che lo raffiguran­o sono state demolite e imbrattate. Nel mirino, adesso, la più famosa: quella di New York.

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