SO WONDERFUL
Nato a Brooklyn, nei primi anni Sessanta David Montgomery (a sinistra) si trasferisce a Londra. E lì negli anni fotograferà tutti: principi e regine, attori e musicisti, modelle (a lato, gli scatti di Donyale Luna sul set di Blow-up) e campioni dello spor
«In America avevano realizzato una copertina con bambini bianchi e neri che giocavano insieme. Per l’integrazione razziale. Jimi pensava fosse fantastica. Ma quando il discografico Chris Stamp la vide, sbottò: “Che diavolo è? Con questa non si vendono i dischi”. Così decisero di fotografarlo in mezzo a un gruppo di ragazze nude. Preparammo tutto ma dieci minuti prima di scattare mi dissero: “Hendrix non viene”. Ecco perché nell’immagine alcune di loro hanno in mano le cover dei suoi dischi». E il ritratto di Hendrix? Perché quelle fiamme alle sue spalle? «Fu una mia idea. Per nessuna ragione particolare, se non quella di fare una foto che catturasse l’attenzione. Ma ci comportammo da ingenui. Il set era un’officina di treni. Un mio assistente versò per terra la benzina, un altro diede fuoco. Le fiamme salirono fino al soffitto ma il tempo di prepararmi e si erano quasi spente. Per quello nella foto si vedono le fiamme solo da un lato. Chiesi al tipo che stampava le immagini: possiamo aggiungerne un po’ anche dall’altro lato? E lui: “No. Questa foto fa parte della storia del rock”». Parliamo del ritratto di Sophia Loren? «Era a Londra a girare con Charlie Chaplin e stava in un appartamento vicino all’ambasciata americana. Mi dissero che voleva vedere le mie fotografie prima, risposi di no. La trattativa andò avanti per un po’, finché acconsentì a darmi un appuntamento. Suonai il campanello, e venne lei ad aprire. Indossava una parrucca orrenda. E in casa non c’era makeup. Scattai una foto bruttissima. Per quello, nella camera oscura aggiunsi quel cerchio nero intorno al suo viso». Non una grande esperienza. «A volte accade. Barbra Streisand fu difficilissima. Non dovresti tirar fuori tutte quelle stronzate con uno che è nato a Brooklyn nel tuo stesso quartiere... Avevo tutti i suoi dischi, da allora non li ho mai più ascoltati». Anche con Alfred Hitchcock non andò proprio bene, vero? «Lo incontrai in California. Era nel suo caravan, riallestito come un ufficio di lusso. Era grosso, sprizzava grasso. Come faccio di solito, cominciai a fotografare da una certa distanza, avvicinandomi man mano. Avevo finito solo due rotoli di pellicola da 12 foto ognuno, quando il suo assistente mi disse: “Hai finito”. Mi sono guardato intorno: non ho finito. E lui: “Invece, sì”. Intanto Hitchcock se ne stava seduto alla scrivania come se dovesse ricevere una telefonata che non è mai arrivata, a raccontare quanto amasse le ostriche e altre cazzate del genere». Lei viene ricordato come «quello che osò sgridare Mick Jagger». Si può sapere che cosa aveva combinato? «Avevamo appuntamento alle 6 del pomeriggio. Il resto della band arrivò puntuale, lui si presentò alle 11 di notte e non voleva guardare nell’obiettivo. Gli dissi: se non fai quello che ti dico me ne vado. Non sono qui per mettere le tue foto nel mio album di famiglia».