E, DI FATTO, A PAGAMENTO»
«DOPO UN PO’ HO SENTITO UN PRINCIPIO DI DISAGIO. TUTTO QUI È ORGANIZZATO, IRREGGIMENTATO,
È possibile affittare stanze e resort o anche comprarsi un intero Paese, come sta pensando di fare Richard Branson, patron di Virgin, con tutta la Gran Bretagna artificiale. La corsa allo sfarzo continua sulle autostrade urbane a 16 corsie, magari al volante di una Mercedes SL 600 coperta da 300 mila diamanti. Il lusso è pure esibire la targa più breve possibile. Un uomo d’affari indiano se ne è regalata una, per 8 milioni di euro, con la sigla «D5» da montare su una delle sue Rolls-Royce. E se non basta una tigre nel motore, se ne mette una sul sedile del passeggero, oppure si fa spazio a un leopardo. Pare che faccia snob pavoneggiarsi con una specie che rischia l’estinzione a bordo. La polizia chiude un occhio, partecipando alla competizione. Viaggia su berline di lusso, tra cui alcune Ferrari FF da mezzo milione di dollari. Tra poco si doterà di vetture automatiche robotizzate con telecamera e sistema di riconoscimento facciale. Arma di servizio? Un drone. Mentre in cielo stanno per arrivare i taxi drone. La corsa all’iperbole non deve finire mai. Il Burj Khalifa è già il grattacielo più alto del mondo: 828 metri, quasi tre volte la torre Eiffel. Verrà superato a breve da un’altra bravata architettonica, una torre a forma di minareto di oltre un chilometro d’altezza. Se Abu Dhabi, capitale di tutti gli Emirati arabi uniti, gioca la carta della cultura con il futuro Louvre, Dubai punta sul Teatro dell’Opera. La programmazione spazia da musical come Cats alle opere di Mozart. E non importa se gli spettatori si rimpinzano rumorosamente di pop corn durante le arie del Don Giovanni. Conta registrare sempre il tutto esaurito per far diventare la Manhattan delle sabbie la destinazione turistica numero uno. Il suo aeroporto è già in testa con quasi 84 milioni di passeggeri internazionali. La maggior parte sono in transito, un terzo si prepara a un soggiorno estremo di lusso e di spese. Prima tappa per quasi tutti: l’ascensore che vola al 124° piano del Burj Khalifa, la cui facciata era stata scalata da Tom
Cruise durante Mission: Impossible - Protocollo fantasma. Ma ci sono molte altre occasioni da brivido, anche per le famiglie. I bambini possono giocare tra i pinguini reali a Ski Dubai, pilotare un aereo a KidZania, scalare un dromedario di Lego nel deserto e imbattersi in un gigantesco dinosauro animato nella giungla preistorica di Img Worlds of Adventure. I più coraggiosi si tuffano tra gli squali all’Aquaventure, dopo essere passati da uno scivolo vertiginoso a un tubo trasparente. Uno più stupefacente dell’altro, i parchi di divertimenti costano come minimo 60 euro soltanto per i bambini. Agli splendori fanno da contraltare inevitabilmente anche alcune miserie. L’Eldorado, artificiale al 100 per cento, è un incubo come impatto ambientale. Quanto a usi e costumi, Dubai, governata dalla sharia islamica, ha fatto i suoi calcoli: la tolleranza conviene. Mentre le donne del posto sono coperte dalla testa ai piedi, le altre possono passeggiare in gonna. Ma niente baci in pubblico, e l’omosessualità è punibile con dieci anni di carcere. La Babele faraonica si regge inoltre sul lavoro di centinaia di migliaia di operai immigrati, pagati pochissimo e alloggiati in campi spesso insalubri, lontani dalla città. Tanto non sono ammesse critiche. Come ricorda Human Rights Watch, negli Emirati arabi uniti «chiunque esprima un’opinione che dispiace agli emiri si ritrova in prigione». Con casi di torture e sparizioni misteriose. La libertà d’espressione di fatto si riduce ai sorrisi estatici postati su Instagram. Il fotografo Nick Hannes ha passato un mese e mezzo a Dubai per raccontarla, con sguardo ironico e preoccupato. Parte del suo lavoro, che gli è valso il 21 luglio il prestigioso premio Magnum and LensCulture, lo vedete in questo servizio. «Dopo qualche giorno, ho sentito un principio di disagio. Certo, il Paese brulica di attrazioni, ma tutto quello che succede è organizzato, irreggimentato e, di fatto, a pagamento». Nella città pensata per le automobili, anche camminare è un’attività ricreativa. Gratuita, certo, ma circoscritta a determinati luoghi. Epicentro della globalizzazione, Dubai vuole incarnare il futuro e potrebbe dirigersi verso i peggiori incubi immaginati già ai tempi del film Metropolis di Fritz Lang del 1927. «È una bolla artificiale nel contesto del Medio Oriente», racconta Hannes, che intravede le premesse di una «civilizzazione incapsulata», con aree di benessere costose e riservate a una minoranza. Mentre a tutti gli altri restano solo caos e povertà.