I terroristi arrestati si pentono?
Quelli che sono sopravvissuti agli attentati o che non sono stati abbattuti dalle forze dell’ordine si contano sulle dita delle mani: il martirio, in teoria, sarebbe l’unica via di fuga concessa loro dallo Stato Islamico. Oggi Salah Abdeslam, responsabile degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, figura tra i pochi che si sono arresi. Detenuto nel carcere di Fleury-Mérogis, a mezz’ora di auto dalla capitale francese, si trova dietro le sbarre da ormai quasi 600 giorni: il suo primo processo lo subirà in Belgio, però, dove entro la fine dell’anno dovrà rispondere dell’accusa di tentato omicidio nei confronti dei poliziotti in un contesto terroristico. In Francia, invece, bisognerà aspettare ancora a lungo prima che inizi il processo per la strage del Bataclan, definito dagli esperti un rompicapo giudiziario. Mohamed Abrini, ossia «l’uomo col cappello», implicato negli attacchi a Parigi e all’aeroporto di Bruxelles, è recluso da più di 500 giorni. A luglio è stato prolungato ulteriormente il regime di custodia cautelare a cui è sottoposto: è rinchiuso nel penitenziario di Bruges, dove collabora con gli inquirenti. È il primo pentito dell’Isis. Ha seguito il suo esempio Mohamed Houli Chemlal, 21 anni, ferito nell’esplosione del covo di Alcanar (Spagna) che ha preceduto l’attacco alla Rambla, le cui rivelazioni si sono dimostrate indispensabili per gli investigatori. Pure la foreign fighter italiana, Lara Bombonati, arrestata a fine giugno in Piemonte per terrorismo, dopo 60 giorni di carcere ha cominciato a cedere. Imprigionata alle Vallette di Torino, in principio aveva fatto scena muta ma un mese fa ha iniziato a rispondere alle domande del magistrato.