Avevo fatto un sogno
Dieci mesi dopo essere stata battuta da Donald Trump, HILLARY CLINTON torna con un libro in cui analizza What Happened. Ma spiega anche alle donne perché è giusto «provarci e riprovarci». Con coraggio e un sorso di Chardonnay
Quando entro nella sala da pranzo di Chappaqua, ad accogliermi è una visione del passato. Senza trucco e con occhiali giganteschi a fondo di bottiglia, un lupetto grigio e un golf di lana nera con la cerniera, Hillary sembra meno Clinton e più Rodham che mai. Non somiglia affatto alla donna che conosciamo dalla Tv, dai giornali, dall’America degli ultimi 25 anni: è più una versione 69enne della ragazza che nel 1969 era apparsa sulla scena nazionale con un eccentrico discorso alla consegna dei diplomi del Wellesley College. Senza più corse alle presidenziali e senza più elettori da corteggiare con acconciature elaborate, adesso si presenta come avrebbe potuto fare anche prima se fosse invecchiata naturalmente e non nel crogiolo della politica americana. E sta tornando a galla. È ormai evidente che intende rimanere una figura pubblica.
épassato quasi un anno dal cataclisma dell’8 novembre, e i sentimenti riguardo Hillary Clinton rimangono violentemente divisi. La rabbia nei suoi confronti da una parte – come la beatificazione dall’altra – ci ricorda quanto queste elezioni si siano appellate alle questioni irrisolte che riguardano donne e potere. Ammettere il ruolo che il sessismo ha avuto nelle presidenziali del 2016 non è un modo per giustificare gli errori effettivi di Clinton e della sua campagna, ma un tentativo di dipingere un quadro più completo. «Credo che tanti non abbiano creduto a quelli di noi che urlavano a gran voce quanto fosse difficile eleggere una donna presidente», dice Jess McIntosh, stratega democratico che era a capo della comunicazione sociale per la campagna di Clinton. La rivelazione del potere persistente del sessismo è la ragione per cui 3 milioni di donne hanno fatto una marcia di protesta l’indomani della cerimonia di insediamento di Trump, e dal giorno dell’elezione più di 13 mila si sono dichiarate interessate a candidarsi. Per certi versi, la stessa Clinton è una di queste donne che hanno preso atto della realtà: oggi è molto più a suo agio nel parlare di genere, rispetto a un anno fa. Di recente, si è anche dichiarata membro della «resistenza». «C’è sempre stato questo movimento di retroguardia contro l’espansione del cerchio di opportunità», dice. «E sono convinta che molto di quanto sta succedendo adesso sia un ritorno dell’ansia, paura e pregiudizio che da sempre affliggono le persone preoccupate dal fatto che il cambiamento avvenga velocemente e che avrà anche più conseguenze del previsto». Certo, durante la campagna, la stampa non ha aiutato: «A destra abbiamo giornalisti che negli ultimi venticinque anni hanno fatto un ottimo lavoro. Hanno una missione. Usano i diritti di cui usufruiscono grazie al Primo emendamento per sostenere una serie di politici che fanno i loro interessi, interessi commerciali, corporativi, religiosi. Perché la stampa di parte sta a destra, e quella di centro deve concentrarsi per fare informazione nel modo più accurato possibile».
La notte dell’elezione, ricorda Hillary, sapeva di rischiare ma pensava che sarebbe riuscita a farcela. «Sono rimasta sorpresa come chiunque altro quando hanno iniziato ad arrivare i risultati. Non era quello che tutti, escludendo un paio di casi isolati, avevamo visto nei dati. E c’era una bella sensazione». Quando chi le era vicino ha cominciato a crollare per lo shock, è rimasta calma. Forse, dice una persona dello staff, perché lei si aspetta spesso il peggio. Ricorda lo stratega Robby Mook: «Le ho detto che sembrava non potessimo farcela, e lei ha reagito in modo stoico, è passata subito alla modalità: “Bene, e quindi che cosa facciamo adesso?”».
Quando i risultati sono stati certi, Clinton e i suoi consulenti hanno pensato fosse troppo tardi per fare un discorso. Lei voleva valutare attentamente cosa avrebbe detto, e con il suo team ha visto e rivisto la frase da rivolgere a Trump. L’indomani mattina gli speechwriter Schwerin e Rooney l’hanno raggiunta nella sua suite al Peninsula Hotel. Era seduta al tavolo in accappatoio. Aveva dormito pochissimo, ma è stata chiara: voleva un approccio un po’ più aggressivo, che avesse al centro la difesa delle regole della democrazia, e voleva enfatizzare il messaggio rivolto alle giovani donne, passaggio che sarebbe diventato il cuore del suo discorso. A detta di Hillary, a salvarla è stata la riflessione sulle prossime cose da fare. «È stata una batosta clamorosa e devastante», dice adesso. «Pensavo solo che avremmo dovuto affrontarla con una certa dignità, e che ci sarebbe stato un mucchio di tempo per cercare di capire cosa era andato storto e cosa avremmo potuto fare in modo diverso, ma al momento dovevamo solo attenerci al rituale». Persone vicino a lei mi hanno poi raccontato che dubitava di riuscire a partecipare alla cerimonia dell’insediamento di Trump senza perdere palesemente il controllo. «È stata dura, proprio... difficile. Ma all’epoca speravamo che da presidente si sarebbe comportato in modo diverso rispetto a quanto aveva annunciato in campagna elettorale». Ovviamente, si è capito subito che non avrebbe cambiato strategia. Nel ricordarlo, sul viso di Hillary compare un’espressione di disgusto. «Ha fatto un penosissimo appello ai suoi sostenitori più irriducibili. Ho incrociato lo sguardo di Michelle Obama, era come dicesse: che sta succedendo? Ero seduta accanto a George e Laura Bush, ed è vero che abbiamo i nostri disaccordi politici, ma questa cosa andava al di là di tutto».
Quando ricorda la notte dell’elezione e l’insediamento, non posso fare a meno di pensare che la capacità di Clinton di accantonare i propri sentimenti sarà sì utile ma forse non è del tutto sana. Le chiedo se è mai stata in terapia, scuote la testa. «Mai. Be’, sì, alla fine degli anni Novanta abbiamo fatto qualche seduta di coppia, è stato quando abbiamo passato il nostro momento complicato, ma tutto lì. Non è il mio modo di affrontare i problemi, di risolvere le cose». Quando si è presentata alle presidenziali 2016, dice, sperava che negli otto anni passati dalla sua ultima candidatura «molta della iniquità che subisce una donna che corre per la presidenza fosse scomparsa». A inizio campagna, Clinton ha parlato con storici, psicologi e altri che hanno esaminato i pregiudizi di genere a cui sarebbe andata incontro. «Sono stati chiarissimi sul fatto che sarebbe stata una battaglia difficile». Particolarmente minacciosi gli avvertimenti di Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook il cui libro del 2013 Facciamoci avanti è diventato un testo di riferimento nelle discussioni su femminismo, classe sociale, e gli ostacoli alle ambizioni delle donne. «Lei sostiene che quando si tratta di successo e consensi c’è una differenza netta tra uomini e donne. Più un uomo ha successo, più riscuote consensi. Più una donna ha successo, meno ne riscuote. E questo riguarda tutti gli ambiti della società». Sandberg aveva predetto a Clinton che durante la campagna avrebbe avuto un’accoglienza nettamente diversa rispetto al 69 per cento di consensi ottenuti come segretario di Stato. «Aveva ragione. Prima ero al servizio di qualcuno – un uomo, un Presidente – ma poi, quando ho cercato un lavoro tutto mio, sono finita sotto il fuoco di fila di malignità e attacchi: succede ogni volta che una donna si sforza di andare oltre». La campagna a tratti è stata ostacolata dal fatto che Hillary non potesse giocare la stessa partita dei suoi rivali. «Bernie Sanders e Donald Trump sono stati entrambi eccellenti nel canalizzare la rabbia della gente», dice Schwerin. «E se un candidato uomo quando urla viene definito appassionato, a una donna succede invece che nel momento in cui alza la voce per incitare la folla, si dice che strilla e sbraita». Clinton lo aveva capito, dice Schwerin, «e si è controllata, non ha inveito né si è scagliata contro nessuno. Ma questo è stato interpretato come non autenticità, come se non avesse compreso quanto la gente è arrabbiata o quanto soffre, perché lei non è arrabbiata quanto lo sono quegli altri. E questo significherebbe che le stanno bene le cose come stanno».
Clinton ha una relazione complicata con il femminismo. Ha conquistato le donne nere, ispaniche e asiatiche. Ma il 53 per cento delle bianche ha preferito il candidato che le ha definite «scrofe e cagne». Va anche detto che dopo Bill Clinton nessun democratico ha conquistato la maggioranza delle bianche, e che Hillary ha avuto risultati migliori di Obama nel 2012. Ma in questa campagna il ritorno alla dinamica del potere maschile esercitato con il consenso femminile è stato una doccia fredda. Dopo aver accusato Hillary di «giocare la carta di essere una donna», Trump ha realizzato delle vere «carte donna» a misura di portafoglio, che potevi comprare a un dollaro e che si sono rivelate il suo più grande successo nel merchandising. Dice McIntosh: «Sono stati fatti approfondimenti su approfondimenti su chi fossero gli elettori di Trump, e lo stesso sui sostenitori di Sanders. Invece, su chi appoggiava Hillary non è stato scritto niente, anche se erano più entusiasti degli elettori degli altri candidati. Questo ha favorito la reazione violenta cui sono andate incontro le donne che dichiaravano di sostenerla».
Il nostro futuro dipende dal fatto che voi ragazze ci crediate. Non abbiate paura delle vostre ambizioni
McIntosh si riferisce al fatto che spesso le supporter di Clinton sono state accusate di fanatismo femminile scervellato, o di votare qualcuno solo perché ha una vagina. Così, parecchi sostenitori hanno messo a tacere l’entusiasmo, esprimendolo clandestinamente. Nello stesso tempo, nessuno «poteva credere che milioni di persone la amassero davvero». Non ha avuto la giusta risonanza anche il fatto che, osserva Mini Timmaraju, a capo del National Women’s Vote, «la maggioranza dei nostri donatori erano donne: non era mai successo in una campagna presidenziale».
Di recente, in un’occasione pubblica, Hillary si è fatta notare perché si preoccupava dell’abbigliamento di chi le era vicino, spiegando anche che aveva appena fatto il cambio di stagione ma che non era ancora riuscita a mettere in ordine gli armadi. Questo interesse per il look dimostra quanto sia diventata strana la sua vita. Per la prima volta da molto tempo, non ha un fitto programma di eventi. E anche se negli ultimi mesi ha dedicato molto tempo alla scrittura, ci sono state lunghe pause in cui non aveva granché da fare. Sì, ha fatto molte passeggiate nei boschi e nei dintorni di Chappaqua, ha ripreso a dormire in modo regolare – parla spesso dei benefici del riposo, del buon cibo e dello stare all’aria aperta. Risponde alle email e ha fatto decine di riunioni informali per discutere le ragioni della sconfitta, e lei e Bill hanno visto quasi tutti gli spettacoli in cartellone a Broadway. Cenano insieme e passano il tempo con i nipoti, la cui area giochi è proprio fuori dalla finestra della stanza dove lavora Hillary. Bill di recente ha ripreso a occuparsi a tempo pieno alla Fondazione Clinton, ma Hillary non è coinvolta nella gestione quotidiana. Quando esce, ci sono file di persone che le chiedono selfie e abbracci. «Non avevo mai visto una cosa del genere», dice. «Sono andata a pranzo con Shonda Rhimes e una donna si è fermata al tavolo – ben vestita, avrà avuto 40 o 50 anni – e ha detto: “Non riesco ad andarmene dal ristorante senza dirle che sono assolutamente devastata”, e si è messa a piangere. La gente è profondamente ferita, soprattutto le donne. Gli uomini invece affermano: “Ti ho votata e non so cos’è successo”. E molti ammettono: “Mi dispiace non avere votato. Non pensavo ne avesse bisogno”». Clinton sa che se avesse vinto, avrebbe governato in un’epoca di profonda reazione al femminismo. «Avrei amato avere quel genere di problema. So cosa c’è lì fuori. Ci ho vissuto. Sono diventata adulta in un’epoca in cui aspettative, leggi e istituzioni per le donne cambiavano». Adesso non cerca più di vincere in Ohio (il che è una buona cosa, perché lo ha perso per otto punti), ma continua a cercare di immaginare come fare a raccontare queste storie di democrazia. «Dimentichiamo i detrattori, dimentichiamo le chiacchiere, dimentichiamo uomini e donne spiacevoli», dice parlando di quello che la sinistra deve fare per andare avanti. «E immaginiamo un modo per comunicare con la gente che sa di cosa stiamo parlando, che sa che c’è qualcosa di più grande di me e della campagna. I valori per cui 66 milioni di persone hanno votato valgono la battaglia». Qualche tempo fa, una mattina Hillary ha parlato a una folla di ragazze: «Siete di valore, meritate ogni opportunità. Il nostro futuro dipende dal fatto che ci crediate. Non abbiate paura delle vostre ambizioni, dei vostri sogni, e nemmeno della vostra rabbia. Siate coraggiose, provateci, sbagliate, riprovateci, e aiutatevi tra voi, rimanete salde ai vostri valori. Non arrendetevi mai. Per quello che mi riguarda, le cose non sono andate esattamente come avevo previsto. Ma sapete una cosa? Sto bene... Faccio lunghe passeggiate nei boschi. Sistemo gli armadi. E sarò sincera: anche lo Chardonnay un po’ aiuta». (traduzione di Tiziana Lo Porto)