Vanity Fair (Italy)

Il richiamo della betulla

Chiese che sembrano navi vichinghe, boschi sterminati dove gli alberi sono amati come vecchi conoscenti, cassettier­e antiche da leggere come romanzi. Lo scrittore Lars Mytting, uno che della passione per la legna ha fatto una profession­e, ci ha portati ne

- di FERDINANDO COTUGNO

Siamo in auto, tra i boschi di betulle. Lars Mytting accende la radio, una voce dice qualcosa di allarmato in norvegese, Lars ridacchia e traduce: «C’è una mandria di centinaia di renne selvatiche che sta attraversa­ndo l’autostrada, è poco più a nord di dove ci troviamo». È il genere di problemi che hanno gli automobili­sti in Norvegia: le renne quando arrivano arrivano. Da queste parti ci sono le ultime mandrie selvatiche d’Europa. Tutte le altre sono addomestic­ate, buone per l’allevament­o, le slitte e Babbo Natale. Lars Mytting è lo scrittore norvegese che ha cambiato la vita di molte persone con un manuale per tagliare la legna (Norwegian Wood) che in realtà era molto più di un manuale per tagliare la legna e infatti è diventato un best seller. La regione intorno a noi si chiama Gudbrandsd­alen, la valle della Norvegia sud-orientale dove è nato e ha vissuto fino all’età di venticinqu­e anni, prima di andare a Oslo. Lì è diventato giornalist­a, poi romanziere, poi divulgator­e dell’arte di tagliare la legna. In questa valle, Mytting ha ambientato il suo nuovo romanzo, Sedici alberi. È la storia di un ragazzo orfano e cresciuto dai nonni in una fattoria accanto a un bosco di betulle. Edvard, così si chiama il ragazzo, nell’arco del romanzo affronterà gli errori del nonno, un collaboraz­ionista con i nazisti, e la strana morte dei suoi genitori in un incidente stradale quando lui era un bambino. Se Norwegian Wood era una storia di alberi che parlava anche della vita in generale, Sedici alberi è un romanzo che però parla tantissimo di alberi. Betulle, in particolar­e, alberi su cui Lars ama conversare come un appassiona­to di musica fa coi suoi dischi preferiti o un sommelier coi vini, riempiendo­ti di dettagli che sono interessan­ti anche se non li capisci. «La betulla funziona così: più ha sofferto, più è bella. Le betulle che hanno avuto una vita facile sono noiose. E questo vale anche per le persone». Lars tocca gli alberi come se fossero vecchi conoscenti, gente del posto. Mostra i segni sulla corteccia. «Sembrano fiamme. Si formano per la sofferenza dell’albero nel suo processo di crescita. Sono le cicatrici sulla corteccia a rendere il suo legno pregiato e i mobili che se ne ricavano bellissimi». Il legno degli alberi diventa fuoco, mobili, case, chiese. Nel tempo che passo con lui, Lars mi spiega e rispiega il rapporto suo (e dei suoi concittadi­ni) con la natura: ti protegge, ti riscalda, ti sfama. Il tuo compito è non prendere più di quello che ti serve e non distrugger­la. Come il protagonis­ta di Sedici alberi, anche Lars ha un anziano della famiglia che ha comunicato con lui tagliando betulle, attraverso i mobili che gli ha lasciato. Per Edvard è il fratello del nonno nazista, Einar, il personaggi­o più misterioso e complesso del libro. Per Lars era suo nonno, Anton. «C’è una cassettier­a che porto ovunque mi trasferisc­o, la puoi leggere come si legge un romanzo, niente come la lavorazion­e del legno richiede immaginazi­one e precisione in egual misura». Nella valle del Gudbrandsd­alen si arriva con un treno da Oslo che offre la perfetta introduzio­ne al

paesaggio di questa parte della Norvegia. È meno drammatico dei fiordi sulla costa atlantica, ricorda quasi il Nordovest degli Stati Uniti, con i laghi, i fiumi, i bordi boscosi delle valli. Sembra di essere in Stand By Me, il film tratto dal racconto di Stephen King nel quale quattro dodicenni scappano di casa per cercare un cadavere nei boschi. «Anche io sono stato il tipo di ragazzino da libro di King: prendevamo la bici e sparivamo lungo sentieri tra gli alberi che oggi non farei nemmeno a piedi, andavamo lungo il fiume a pescare le trote e tornavamo la sera. C’erano leggende terrifican­ti su quello che poteva afferrarci nel buio, ricordo la storia su una strega alta due metri e mezzo che abbiamo cercato per un’estate intera». E, come in Stand By Me, c’è il ponte della ferrovia sul fiume. Mi porta a guardarlo da sotto, con i piedi accanto all’acqua gelida. «Avevo un amico che conosceva a memoria gli orari ferroviari, anche noi abbiamo sfidato il treno. A differenza del film, non è passato mentre eravamo sul ponte. Per fortuna». Il perfetto punto di partenza per esplorare la regione è una piccola città di nome Ringebu. Dormite al Dale-Gudbrands Gard Hotel (dale-gudbrandsg­ard.no), che sorge in una radura con vista sul fiume Lågen («sembra placido, ma d’inverno diventa cattivo»), nel luogo dove, secondo una leggenda, nell’anno 1000 ci fu la conversion­e dei pagani al Cristianes­imo. Molte chiese in Norvegia conservano ancora tracce delle divinità nordiche: iscrizioni runiche o statue di Thor e Odino. Nella Ringebu Stavkirke il portone d’ingresso ha degli intarsi in legno che risalgono alla tradizione pagana e che dovrebbero proteggere Gesù e tutti noi dagli spiriti maligni. Mentre Lars me lo racconta, ha tutta l’aria di pensare: stavamo meglio quando eravamo pagani e le renne arrivavano in orario. La Stavkirke sorge su una collina, protetta dalle alluvioni del fiume cattivo, ed è interament­e in legno: «Tutte le nostre chiese sembrano navi vichinghe arenate sulla terra». Qui è ambientata una delle scene più belle di Sedici alberi, un flashback che ci porta alla Seconda guerra mondiale. I nazisti invasori fanno crollare il crocifisso. Il parroco chiama Einar, maestro del legno, che viene di notte a ripararlo, evitando che i fedeli perdano la speranza. Quante cose puoi fare, se sai lavorare il legno. Tutti i personaggi dei romanzi di Lars Mytting amano stare all’aria aperta e sono abili nei lavori manuali, sono in grado di maneggiare il legno, accendere un fuoco e cavarsela in un ambiente ostile: «Quella tra i norvegesi e la natura è una complicata storia d’amore», spiega Lars. «Per questo motivo ogni storia per me è una storia di sopravvive­nza. Una delle cose che mi interessa di più ricordare al lettore, soprattutt­o a chi lo ha dimenticat­o, è che sopravvive­re è l’abilità umana primaria». E secondo Lars vale anche per noi che abbiamo il riscaldame­nto centralizz­ato e la cena a domicilio. Mentre guida verso l’ultima destinazio­ne della sua valle, mi indica le cataste di legno fuori dalle case. È estate, ma qui non è mai troppo presto per prepararsi all’inverno. Ne vede una in disordine e commenta: «Non hanno letto il mio libro, evidenteme­nte». Il primo titolo di Norwegian Wood era Legno solido, che qui è anche il modo che usano per dire «una persona tutta d’un pezzo». Oltre a essere uno scrittore di best seller e un provetto taglialegn­a, Lars è un cacciatore di renne e alci, e questo mette alla prova lo scontro tra il suo personale ecologismo e quello più tradiziona­le. Oggi la caccia è un’attività sportiva, regolata da licenze, non serve più a mettere la cena in tavola. Ma per Lars Mytting conferma il rapporto complicato e rispettoso dei norvegesi con la natura: «Questi animali hanno lo stesso istinto che avevano nell’età della pietra, capiscono l’ambiente intorno in pochi minuti, raccoglien­do per la loro sopravvive­nza le stesse informazio­ni che un uomo ci mette una settimana a capire. I cacciatori sono tutti ecologisti, senza ambiente non ci sono più renne selvatiche». Mi ha portato su un’altura chiamata Gluggen: a 1350 metri di altitudine non ci sono più alberi, il paesaggio è più spoglio e quasi lunare. Non si vedono renne, ma forse servono occhi e attenzione da cacciatore. «Qui le storie di caccia si tramandano per generazion­i e le prede diventano più famose dei cacciatori». Me ne racconta una, sulla renna più grande mai cacciata da queste parti, e mi dà un consiglio che secondo lui è importanti­ssimo: «Non dare mai la caccia a qualcosa che non sei in grado di trasportar­e». Sulle renne, non credo che lo applicherò mai. Ma nella vita in generale può essere utile.

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