Vanity Fair (Italy)

DAVID BOWIE, LA BIO DI UN MITO

Talento mutante e inafferrab­ile rockstar, DAVID BOWIE è stato amato da diverse generazion­i di fan. Come il direttore di GQ Uk Dylan Jones, che lo conobbe su un set vampiresco e ora lo celebra in una biografia a più voci. Dove scopriamo che Ziggy spiava le

- di ALBA SOLARO

CÕè Paul McCartney che si rammarica di non averlo conosciuto meglio; Nina Simone che lo ricorda «con un grande cappello nero, vestito come un pagliaccio, sembrava Charlie Chaplin». Ci sono fidanzatin­e di un giorno e vicini di casa, musicisti e produttori, insegnanti e giornalist­i, modelle e artisti: David Bowie: A Life (edito da Penguin), di Dylan Jones, direttore di GQ Uk, è la più fragorosa biografia mai scritta sull’artista più inafferrab­ile dell’ultimo secolo, morto nel gennaio 2016. Uno straordina­rio affresco corale di oltre 160 voci: Jones, che conosceva bene Bowie e ne ha già scritto (When Ziggy Played Guitar), ci ha messo 15 mesi di lavoro, «ma forse dovrei dire tutta la vita». C’è qualcosa che l’ha sorpresa lavorando al libro? «Il fatto che tutti, anche quelli che per qualche motivo potevano avercela con lui, ne parlano con ammirazion­e. Bowie era un genio che non si faceva scrupoli a usare le persone: prendeva ciò che gli serviva e passava oltre. Ma non ha lasciato a nessuno un sapore amaro in bocca. Aveva un fascino unico: ti faceva sentire privilegia­to di essere stato nella sua orbita». Quando l’ha incontrato la prima volta? «Era il 1982, facevo la comparsa in un orrendo film di vampiri che ha girato con Catherine Deneuve, The Hunger (uscito in Italia con il titolo Miriam si sveglia a mezzanotte, ndr). Il set era allestito all’Heaven, il più famoso night club gay londinese dell’epoca, io dovevo salire sulla scale di ferro mentre in sottofondo passava Bela Lugosi’s Dead dei Bauhaus. Durante una pausa Bowie tira fuori le sigarette e mi chiede se ho da accendere. Ero sconvolto dall’emozione. Avevo vent’anni, e lui era uno dei miei miti!». Lo era anche per lo scrittore Hanif Kureishi, che aveva frequentat­o, sette anni più tardi, lo stesso liceo di Bromley. In un passaggio ricorda che un insegnante gli aveva mostrato la foto di un truccatiss­imo Bowie,

già piccola gloria locale, minacciand­olo: se non fai il bravo diventerai come lui. Lei ha mai desiderato essere come Bowie? «Volevo il suo taglio di capelli. Avevo dodici anni, ero andato da un parrucchie­re unisex, ma non avevano la più pallida idea di cosa stessi parlando. Alla fine è venuto fuori che i miei capelli non andavano bene per quel taglio. Una delusione tremenda». Bowie aveva stile. «E aveva istinto. Justin de Villeneuve, ex compagno e manager della top model Twiggy, racconta di quando nel 1973 aveva organizzat­o un servizio fotografic­o con lei e David per Vogue. Sarebbe stata la prima cover con una coppia. Lui stava registrand­o Pin Ups; quando ha visto la foto, ha chiesto di usarla per la copertina del disco. È una delle più belle che ha fatto: molti ancora pensano che quella con lui sia Angie». Angie e Iman, le due mogli, due donne diversissi­me. «Il ruolo di Angie è stato molto importante nella costruzion­e del personaggi­o, gli ha dato una mano gigantesca a mettere insieme lo stile di Ziggy Stardust, le piaceva l’idea di essere sposata a una rockstar. Iman amava l’uomo; ha sempre detto “ho sposato David Jones, non David Bowie”». Lui e Mick Jagger, una saga: leggendo si scopre che Bowie gli guardava le etichette delle camicie per copiarlo. «Tutto è lecito in amore e guerra… e nella musica pop. David era una vera gazza ladra. Rubava le idee e aveva occhio, sapeva scegliere il fotografo, il designer giusto. Tra i due c’era una sana rivalità e un grande rispetto reciproco. Lo stilista Tommy Hilfiger mi ha svelato che gli deve anche il nome. La stampa musicale aveva soprannomi­nato Jagger “the Dagger” (pugnale, ndr). E David: “Se lui può essere Dagger allora io sarò Bowie” (bowie knife è il coltello da caccia)». Una bella sfida. «Ma erano diversi. Ho intervista­to l’impiegata della banca dove entrambi aprirono il primo conto. Jagger fu ricevuto da una signora che non sapeva chi fosse. Gli chiese un documento d’identità, lui rispose: “La mia faccia”. Bowie non sarebbe mai stato così sbruffone». E aveva un formidabil­e senso dell’humour. «Meraviglio­so. Una volta mi raccontò di quando era andato a vivere in Svizzera, fine anni ’70, per sfuggire alle droghe. Aveva uno chalet nei pressi di Montreux, lì vicino abitava anche Roger Moore. Un pomeriggio, l’attore passa a salutarlo. Prendono il tè, Moore snocciola fantastici aneddoti su James Bond, si ferma per un drink. Il giorno dopo alle 17.30 bussano alla porta: è di nuovo Roger Moore. Altro tè, altri drink, stesse storielle su Bond. Al quinto giorno che alle 17.30 sentiva bussare alla porta, Bowie andava a nasconders­i sotto il tavolo». Affascinan­te e pronto a usare il corpo, bellissimo, che aveva. Era sessualmen­te curioso? «Affatto. La storiella che gli avessero proposto un rito necrofilo risale al primo tour negli Stati Uniti. Allora i musicisti rock assomiglia­vano tutti a Robert Plant, o a uno degli Eagles. Lui non somigliava a nessuno. E questo mandava in confusione la gente. Un ragazzo strano coi capelli strani, gli occhi strani, i vestiti strani, il fascino strano: anche i gusti sessuali saranno strani, giusto? Sbagliato, le sue inclinazio­ni erano piuttosto normali». Dotato di talento e, da quello che si intuisce nel libro, ben dotato anche nelle parti intime. «Così dicono, ma non ho avuto il privilegio di un accesso diretto a questa informazio­ne». E ride. Era unico anche nel saper unire le generazion­i. «Kate Moss racconta che la prima volta che è stata al festival di Glastonbur­y, nel 2000, fu proprio per vedere lui. E ci è andata con sua madre, e con Anita Pallenberg. Tre generazion­i. Quando è morto, è stato pianto da una quantità impression­ante di giovani che non l’avevano mai visto dal vivo, non sono cresciuti con la sua musica, ma sono stati ugualmente toccati nel profondo dalla sua opera». Che cosa metterebbe oggi nella sua playlist Bowie? «Drive-in Saturday; Five Years; anche Let’s Dance, la amo; Slow Burn; e Don’t Look Down, un curioso reggae scritto da Iggy Pop, che aveva inciso in Tonight». Ci potrà più essere qualcuno come lui? «È troppo tardi. La musica oggi non conta come un tempo, il mondo è molto cambiato, la nostra percezione non è più la stessa e il bello è che in fondo lo dobbiamo anche a lui».

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 ??  ?? UN VERO INFLUENCER David Bowie (1947-2016) in due fotografie del 1977. In Inghilterr­a è uscita in questi giorni David Bowie: A Life, biografia dell’artista scritta da Dylan Jones, direttore di GQ Uk.
UN VERO INFLUENCER David Bowie (1947-2016) in due fotografie del 1977. In Inghilterr­a è uscita in questi giorni David Bowie: A Life, biografia dell’artista scritta da Dylan Jones, direttore di GQ Uk.
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