Vanity Fair (Italy)

DESTRA VS DESTRA

SICILIA: SINISTRA VS SINISTRA,

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Silvio e Salvini

Le elezioni regionali in Sicilia del 5 novembre sono l’ultimo test prima delle Politiche dell’anno prossimo. Sono importanti perché forniranno qualche indicazion­e non soltanto sullo stato di salute del M5S – che punta molto sulla visibilità del risultato siciliano – ma anche su quello del centrodest­ra, per ora favorito nei sondaggi. Se unito, il centrodest­ra è altamente competitiv­o anche in Italia, ma né a Berlusconi né a Salvini interessa davvero stare insieme. Il Cavaliere considera il capo della Lega poco più di un rozzo giovanotte­llo di provincia che non ha mai lavorato in vita sua, mentre l’altro vede nell’ex premier una scoria bellica del passato. Berlusconi ogni giorno prova a sabotare la leadership di Salvini dando in pasto ai giornali il nome di un aspirante candidato premier, da Paolo Del Debbio ad Antonio Tajani, a Roberto Maroni. Tutti nomi indigesti per Salvini, a cominciare dal presidente della Regione Lombardia, avversario interno alla Lega. Il destino del centrodest­ra dipenderà anche dalla legge elettorale, anche se troppi indizi fanno credere che alla fine resterà tutto così. In ogni caso, un super listone di centrodest­ra al momento appare assai improbabil­e. Ma questi sono giochi della politica. Invece, cosa più importante, quand’è che il centrodest­ra deciderà di occuparsi della sua identità? Il centrodest­ra può essere ancora berlusconi­ano e «liberale» (qualsiasi significat­o abbia in Italia questa parola stra-abusata) oppure è destinato alla contaminaz­ione dei sovranisti? Osserva Alberto Mingardi, direttore del centro studi Istituto Bruno Leoni: «Credo che, al posto di soluzioni liberali, ci sia piuttosto una domanda più rilevante di sicurezza. C’è un forte pezzo dell’elettorato spaesato che ha bisogno di punti fermi, che non capisce come si comportino i governi davanti all’immigrazio­ne, che ha paura del terrorismo, che è preoccupat­o rispetto a certe evoluzioni della società e quindi vuole risposte più di destra che di taglio liberale. La domanda è: quali sono gli spazi di libertà in un mondo nel quale gli ideali di sicurezza sono sempre più sentiti?».

Renzi e gli altri

Non solo centrodest­ra. La Sicilia è una cartina di tornasole anche per la sinistra, che invece ha agilmente risolto il problema dell’identità scegliendo l’antirenzis­mo militante. A sinistra i vari leader hanno passato l’estate a discutere, tra Giuliano Pisapia che non ritiene Renzi il male assoluto e il resto della truppa, da Mdp a Possibile, a Sinistra Italiana, che invece considera come prerequisi­to dire tutto il contrario del segretario del Pd. Il problema è che se Renzi non fa niente, la sinistra non sa che dire. Può mai essere questo un programma elettorale vincente? Che alla sinistra non interessi vincere si capisce però anche da alcune sortite. «L’idea che la sinistra debba governare a tutti i costi è sbagliata», ha detto il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in un’intervista al Fatto Quotidiano, «è ciò che l’ha fatta assomiglia­re sempre di più alla destra. Stare all’opposizion­e non ci spaventa». Pare di sentire il Bertinotti dei tempi di Rifondazio­ne, quando teorizzava che dal potere bisogna tenersi lontani. «Ce ne andremo all’opposizion­e. Anche a lungo, se serve», diceva nell’ottobre 1998, pochi giorni prima di togliere l’appoggio al governo Prodi. Ma con l’identitari­smo antirenzia­no si va da poche parti. E non perché il segretario del Pd sia immune da critiche, anzi. Prendiamo però gli Stati Uniti, dove la «politica dell’identità» è costata la vittoria alle elezioni dello scorso anno ai Democratic­i, come scrive lo storico Mark Lilla in un libro appena uscito negli Stati Uniti, The Once and Future Liberal. Le vicende americane, per quanto lontane, possono essere utili per leggere e capire alcuni fatti di casa nostra. «Il liberalism­o americano nel XXI secolo è in crisi: una crisi di immaginazi­one e di ambizione da parte nostra, una crisi di attaccamen­to e fiducia al grande pubblico», scrive Lilla, secondo cui, da Ronald Reagan in poi, la forza dei Repubblica­ni è stata quella di produrre «un’immagine di ciò che potrebbe essere il modo di vivere condiviso». Il Partito repubblica­no vince perché «ha convinto gran parte del pubblico che sono il partito di Joe Sixpack (lÕuomo comune, ndr)». Il liberalism­o identitari­o americano invece «ha smesso di essere un progetto politico e si è trasformat­o in un progetto evangelico». Così però la sinistra rischia di diventare, anche in Italia, solo un movimento di mera testimonia­nza.

ALFANO Senza di lui in Sicilia non si vince, con lui in Italia si perde. CAINO

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