Per un pugno di isole: il Risiko nel Pacifico
Piccoli paradisi tropicali, scogli inospitali, persino secche. Nel Pacifico non mancano le isole e gli atolli in grado di scatenare una guerra. Primo fra tutti Guam: a oltre tremila chilometri dalla Corea del Nord, esteso quanto un piccolissimo Stato europeo come l’Andorra, il territorio Usa è la base per seimila soldati ed è nel mirino dei missili nucleari di Pyongyang che lo considera una minaccia. È solo uno dei fazzoletti di terra strategici perché garantiscono il controllo di ampie aree dell’oceano. Qualche esempio? Sono spuntati da poco nuovi silos missilistici sulle isole artificiali realizzate da Pechino nell’arcipelago Spratly, 5 km quadrati (la metà di Capri), a metà strada tra Vietnam e Filippine. Da qui è possibile dominare una via d’acqua lungo la quale ogni anno vengono trasportati 4 mila miliardi di euro di merce. Gli Stati Uniti rivendicano la libertà di navigazione nella zona, reclamata tra gli altri anche dalla Malesia. A nord delle Spratly, sempre nel Mar Cinese meridionale, c’è il banco di Scarborough. Sono scogli che a malapena emergono dall’acqua: considerata anche l’area semisommersa, sono grandi quanto Bologna. Se li contendono Cina e Filippine. Poi ci sono le Senkaku, atolli disabitati più piccoli di Eurodisney che Cina e Giappone si litigano da anni. E le Curili, una sessantina d’isole in mano a Mosca. Quattro, grandi in tutto quanto il Molise, sono rivendicate da Tokyo (una si trova a 3,5 chilometri da Hokkaido, sopra cui è passato tra l’altro l’ultimo missile lanciato in mare il 29 agosto da Kim Jong-un). Questa disputa ha impedito finora a Russia e Giappone di firmare il trattato di pace dopo la fine della Seconda guerra mondiale.