Maestro, venga a prendere un gelato al Leone
All’ingresso di una festa non particolarmente esclusiva, Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema, è stato fermato alla porta. Non lo hanno riconosciuto. Lui ha gentilmente chiesto di chiamare una persona dell’organizzazione per chiarire l’equivoco. Non so se si tratti di una leggenda da festival o di un fatto veramente accaduto ma è comunque credibile, visto il modo di fare garbato e riservato di Barbera. Io dico che dovrebbe tirarsela di più. Perché sotto quello smoking sempre a piombo, ha un talento da Supereroe. Questa Venezia 74 è, a mia memoria, la miglior Mostra di sempre. Belli i film, strepitoso il red carpet (c’è stato un premio Oscar, in media, ogni sera, da George Clooney a Jennifer Lawrence), innovativa la composizione (con la sezione dedicata alla realtà virtuale, la prima al mondo, e con John Landis a giudicarla), poco convenzionali certe scelte (il «madrino»), popolari ed emozionanti altre (il Leone alla carriera a Robert Redford e Jane Fonda), e che sollievo l’assenza delle inutili polemiche pro o contro Netflix che hanno funestato Cannes. Non si arresta la «moda» dei molti documentari in concorso e fuori: del resto, si tratta di prodotti molto adatti ai nuovi scenari del consumo (piattaforme digitali, Tv satellitari, tablet, telefonini e via così). Tra i migliori, per me, This is Congo, il discusso Human Flow di Ai Weiwei e il lunghissimo ma strepitoso Ex Libris di Frederick Wiseman, un omino nato nel 1930 che sembra Yoda di Guerre stellari. Il suo viaggio dentro la biblioteca di New York è una preziosa testimonianza sul significato di cultura condivisa. Grande abbondanza (e non potrebbe essere altrimenti) anche di documentari sul cinema. Ne ho visti almeno tre davvero sorprendenti: uno su Jim Carrey, uno su Ryuichi Sakamoto e uno su Marco Ferreri (La lucida follia, in onda su Sky a maggio), regista morto vent’anni fa e un po’ dimenticato. Si è ripetuto spesso che è stato un festival di vecchi e sui vecchi (almeno tre film, uno è The Leisure Seeker di Paolo Virzì, su gioie e dolori della terza età). In realtà c’era anche un film magnifico sulla giovinezza: lo scandaloso, torrenziale, sensualissimo Mektoub, My Love: Canto uno, diretto dal regista della Vita di Adele. Inoltre: Andrea Pallaoro, il regista italiano di Hannah, che ha fatto vincere la Coppa Volpi a Charlotte Rampling, ha solo 35 anni e certamente Charlie Plummer, il diciottenne che ha vinto il premio Mastroianni, non si fermerà qui. Lo vedremo a Natale, nei panni di John Paul Getty III, il nipote del petroliere americano rapito in Italia, nel film All the Money in the World di Ridley Scott. Vedremo ancora prima, il 21 settembre, Kirsten Dunst nel film di Sofia Coppola premiato a Cannes, L’inganno. A Venezia, l’attrice ha portato Woodshock, debutto al cinema delle sorelle Kate e Laura Mulleavy. Alla fine, comunque, ha vinto il film migliore, The Shape of Water di Guillermo del Toro, titolo che andrà certamente agli Oscar con un bel po’ di nomination, per gli attori, gli effetti speciali e soprattutto per il suo regista, uomo di rara simpatia, un idolo anche sui social fin dai primi giorni quando, appena sbarcato al Lido, ha domandato su Twitter: «Qual è il miglior gelato a Venezia? Grazie». Aggiungo che noi di questa redazione lo avevamo anche premiato alla Festa del Cinema di Roma 2012, con il «Vanity Fair International Award for Cinematic Excellence» per Le 5 leggende, quindi siamo contenti come fosse uno dei nostri. Gigante in tutti i sensi (pesa 130 chili), del Toro ha detto che questo Leone d’oro lo chiamerà Sergio, in onore del regista di C’era una volta in America. E no, Venezia non è triste per niente.