QUEL BACIO MI HA RESTITUITO AL MIO AMORE
Una passione omosessuale con situazioni anche molto forti. È questo il film che ha permesso ad ARNAUD VALOIS di tornare a recitare, dopo anni di delusioni e notti insonni. E ne è valsa la pena. Ne è convinta anche la mamma psichiatra (papà invece...)
Quel bacio ha segnato l’inizio della travolgente storia d’amore fra Sean e Nathan, con l’epidemia di Aids sullo sfondo, la voglia di vivere e la paura della morte incombente. È stato un momento molto forte, anche per noi». Arnaud Valois, 33 anni, nuovo divo del cinema francese, ricorda la scena (con lui, l’attore Nahuel Pérez Biscayart) che ha conquistato l’ultimo Festival di Cannes e ha fatto vincere a 120 battiti al minuto di Robin Campillo il Grand Prix speciale della giuria. Ci incontriamo vicino al Pont de l’Alma: è il 31 agosto, anniversario della morte di Lady D, e noi siamo circondati da una folla di nostalgici della Principessa. Tutti i caffè sono presi d’assalto, ma una giovane cameriera riconosce Arnaud e – incantata – ci fa sedere in un tavolo appartato. Lui è eccitato: questo film, che in Italia uscirà il 5 ottobre, gli ha davvero cambiato la vita. L’impegno di Act Up (associazione di lotta contro l’Aids, fondata nel 1987) in Francia all’inizio degli anni ’90 per scuotere le coscienze su questa malattia ha coinvolto trasversalmente diverse generazioni. «Ho ricevuto centinaia di messaggi su Facebook da persone che hanno vissuto quegli anni, ma anche da giovanissimi, che non sapevano quanto sia stato difficile per i malati farsi accettare», mi dice Arnaud, che prima del film aveva abbandonato i sogni di attore. Quando però Campillo lo ha cercato per un provino, è ricaduto nella «trappola del cinema». Da quanto tempo era lontano dalle scene? «Cinque lunghi anni. Troppo stress, troppe speranze deluse, notti insonni… Alla fine, non ce l’avevo fatta a reggere e dopo un soggiorno in Thailandia sono tornato a Parigi per aprire un centro di massaggi e dedicarmi alla cura del corpo». Quindi, se mi voglio far fare un massaggio da lei, posso prendere appuntamento? Ride. «No, impossibile. Dopo il successo del film, ho deciso di lasciar spazio solo ai miei clienti fissi. Mi aspettano sei mesi di promozione in tutto il mondo. Non posso dividermi in due». Perché ha deciso di tornare a fare l’attore? «È stata Sarah Teper, la direttrice casting del film, a venirmi a cercare. Era convinta fossi l’uomo giusto per il ruolo di Nathan, il ragazzo sieronegativo, che si innamora di Sean. All’inizio ho preso tutto come un gioco. Mi presentavo ai provini, ma non leggevo il copione, per non coinvolgermi troppo. Dopo il terzo incontro con il regista, finito in una shortlist, sono ricaduto in quell’angoscia che mi aveva costretto a smettere. Ho chiamato Sarah e le ho detto di non cercarmi più. Lasciavo volentieri il posto agli altri. A quel punto Campillo ha deciso di prendermi». Si è pentito della scelta? «Lo rifarei un milione di volte. Il set è stato fantastico. Un’energia positiva ci ha portati in alto, dall’inizio alla fine. Dopo l’ultimo ciak, ho chiamato mia madre per dirle che avevo girato un film che non lascerà nessuno indifferente». Come hanno reagito i suoi genitori alle scene di sesso omosessuale, molto forti ed esplicite? «Mia madre, che fa la psichiatra in un ospedale di Montréal, si è lasciata trasportare. Sconvolta, mi ha fatto un milione di complimenti. Non l’ho mai sentita così fiera di me. Mio padre, direttore commerciale nel settore del legno, ha visto il film a Lione, dove vive. Non mi ha nascosto di aver provato un certo imbarazzo. Siamo molto vicini, conosce perfettamente la mia vita, ma gestire certe immagini non è stato facile per lui». Robin Campillo ha dichiarato di aver cercato attori gay per il film. Non la disturba di essere stato scelto anche per questo? «Per il regista era una vera esigenza. Voleva che la sensibilità personale dell’attore permeasse il personaggio. L’omosessualità doveva essere evidente e spontanea, nei gesti, nel modo di parlare. 120 battiti al minuto non è un film normale, vedendolo si capisce immediatamente l’empatia di tutti noi con il soggetto. E poi era necessario sentirsi a proprio agio con il corpo maschile, per interpretare scene di sesso molto intime». Dopo questo set, è cambiata la sua vita? «Radicalmente, soprattutto nella percezione degli altri. Rinunciare al cinema per un altro lavoro era stato lungo e faticoso. Ora devo cambiare nuovamente. Ricevo proposte di film troppo interessanti per non rimettermi in discussione. Però non ce la faccio a lasciare il mio mestiere. Forse diventerò il primo attore-massaggiatore della storia del cinema».
«PER IL REGISTA ERA UN’ESIGENZA CHE IO FOSSI GAY, CHE MI SENTISSI A MIO AGIO CON IL CORPO MASCHILE PER POTER INTERPRETARE SCENE DI SESSO MOLTO INTIME»
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