Tutto l’amore (e l’orrore) materno
La povertà, quella vera, che prende alle viscere, detta i comportamenti, fa dimenticare l’umanità, inventare leggi e personaggi inesistenti per dare una spiegazione al lento orrore quotidiano. La racconta bene Hannah Kent nella Donna del bosco, una storia ambientata nell’Irlanda del primo Ottocento, in uno dei momenti più duri di un Paese che ha costruito la sua storia sulla risposta alla povertà. Chi sarà mai il changeling, il bambino mostruoso e sofferente al centro di questa vicenda che mescola storia e leggende, fantasie e pregiudizi? È una creatura fantastica o un vero mostro (per una volta usiamo una parola politicamente scorretta)? E la donna che decide, contro tutti, di prendersene cura e di salvarlo, è in buona fede, è una maga, è una reietta della società o una santa? Kent ci cala con efficacia – e nostro orrore – in una storia di malattia e miseria, superstizione e amor materno. E ci fa soffrire con i suoi personaggi, in un ritratto doloroso e terribile che va seguito con il suo piccolo lexicon in mano, quello che chiude il volume, per meglio entrare nella storia.