Vanity Fair (Italy)

SENZA ETICHETTE, CI DIVERTIVAM­O

ANDAVI A LETTO CON CHI VOLEVI E NON ERA UN GESTO POLITICO

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Tristissim­o. «Nulla di buono può arrivare da meno sesso. Però hanno sdoganato il transgende­r, ride nito le identità, femminile e maschile, cosa una donna può fare e cosa un uomo può fare. Il linguaggio a volte è così condiziona­nte da svilire la uidità dei comportame­nti, ma la cultura è cambiata. Ora abbiamo più colori da usare, e possiamo permetterc­i di colorare anche fuori dalle linee». Lei ha avuto un ruolo in tutto questo più di quarant’anni fa, con Rocky Horror Picture Show. Ride. «Sapevo che ci saremmo arrivati. Don’t Dream It, Be It, come cantava il Dr. Frank-N-Furter. Ricevo ancora tante mail da chi dice quanto il lm sia stato importante per loro. Ma un tempo non c’era bisogno di fare delle scelte una bandiera. Potevi andare a letto con ragazzi e anche con ragazze, avere tutte le relazioni che volevi, vestirti in modo folle, e non doverti per questo etichettar­e come trans. Non era un gesto politico, ci divertivam­o». Ha fatto oltre ottanta lm: qualcuno che meritava di più? «Diversi meritavano di essere distribuit­i meglio. La mia adorabile nemica, con Natalie Portman. A casa con Je dei fratelli Duplass. E The Meddler, uscito due anni fa: recensioni strepitose, sostegno zero. Per questo è importante che oggi ci siano anche altre piattaform­e oltre alle sale. Ora con la mia casa di produzione faremo un documentar­io su Hedy Lamarr». L’attrice di Estasi? «Tutti la conoscono per quello (primo nudo integrale al cinema, nel 1933, ndr). Una diva arrivata a Hollywood dall’Austria negli anni Trenta, ma anche una scienziata: aveva messo a punto una tecnologia per intercetta­re i missili, quella usata oggi dai telefonini cellulari». Hedy Lamarr? «Proprio lei. C’era la Seconda guerra mondiale, già scontava il senso di colpa per venire dal Paese di Hitler. Voleva fare qualcosa. Brevettò l’invenzione basata sui segnali radio e la cedette alla Marina. Era una star hollywoodi­ana e non la presero sul serio. Scaduti i diritti, altri hanno sfruttato la sua invenzione, ma a lei non è arrivato un soldo ed è morta dimenticat­a da tutti». Come mai ha tenuto il cognome del suo primo marito? «Avevo 21 anni quando ho sposato Chris Sarandon, la mia famiglia era contraria alle scelte che volevo fare, io non li volevo mettere in imbarazzo. Così ho cambiato cognome, e non ci ho più pensato». Sua madre è ancora viva? Che cosa dice della sua vita adesso? «Ha 94 anni, e non dice molto. È sempre stata una rigida repubblica­na. Dev’essere il suo lato siciliano: è cresciuta in un orfanotro o, inuenzata dalle suore e dal pensiero autoritari­o, è il suo modo di sentirsi sicura». Dove trova l’energia per tutte le cose che fa? «Non sento di avere tutta questa forza, è più curiosità, e la fortuna di confrontar­mi con s de continue». Quella più urgente oggi? «Il gap tra ricchi e poveri, è da lì che originano quasi tutte le ingiustizi­e». Si rende conto di essere importante per molte persone in tutto il mondo? «Solo quando mi intervista­no».

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