Vanity Fair (Italy)

“ENTRO 3 GIORNI MI UCCIDONO”

CHIAMÒ UNA RAGAZZINA DI 13 ANNI. COSTRETTA A SPOSARSI, VENIVA TRATTATA DA SCHIAVA E TORTURATA:

- (traduzione di Tiziana Lo Porto) — Shahllah Shaiq, giornalist­a

aiutarle. «Una ragazzina di 13 anni, Gul Nagha, mi ha chiamata al telefono supplicand­omi di aiutarla. Era stata costretta a sposare un uomo, e la famiglia di lui la trattava da schiava. La bruciavano con aste di ferro incandesce­nti e le avevano strappato tutti i capelli. Mi ha detto: “Entro tre giorni mi uccidono”. Ne ho parlato con mio marito e lui mi ha detto che era una cosa pericolosi­ssima. Ma come potevo non aiutarla?». Così Shahllah le ha detto di trovare una scusa per uscire di casa. Con alcune colleghe è andata sul luogo dell’appuntamen­to, l’hanno caricata in macchina e portata al ministero degli A†ari delle donne. «Poi l’ho accompagna­ta in un ospedale di Kabul e le ho trovato una sistemazio­ne in una casa sicura. Un paio di anni dopo, qualcuno ha chiamato dicendo che c’era una bellissima ragazza che voleva vedermi. Era lei!». In un Paese dove la maggioranz­a della popolazion­e è analfabeta e l’elettricit­à è una rarità, la radio è ancora il mezzo di informazio­ne più potente. I Talebani e l’Isis hanno entrambi loro stazioni nella provincia di Nangarhar, dove trasmette anche Nargis. La radio dell’Isis ha mandato in onda degli «avvertimen­ti» e queste giornalist­e hanno ricevuto subito moltissime telefonate di minacce. «Ma non sono solo i Talebani e l’Isis», dice Shahllah. «Chiamano anche molti uomini che mi dicono che porto sulla cattiva strada le loro mogli e ’glie». L’anno scorso le minacce di morte sono diventate così pesanti che il programma è stato sospeso: la radio ha continuato, ma dieci reporter si sono licenziate. Quelle che sono rimaste promettono che non si faranno intimidire. «Mi lasciano lettere sulla porta di casa, in cui dicono che devo andarmene», dice Na’sa Saher, 24 anni, una delle conduttric­i. La sua collega Sabah Gul, di 47 anni, annuisce con vigore. Ha una laurea in legge ed è madre di tre ’gli maschi, grandi, che ha tirato su da sola, dopo che il marito è stato ucciso, 24 anni fa. Ha sempre voluto fare la giornalist­a, così quando ha sentito che apriva la stazione radio, è corsa a unirsi alle altre. «I miei ’gli mi implorano di non farlo, dicono che il loro papà è stato ucciso e hanno solo me», ammette. Temono tutte che la situazione delle donne peggiorerà: anche se la guerra continua, le forze della Nato, che un tempo erano di 140 mila uomini, sono scese a 13 mila. «Oggi essere una donna afghana è pericoloso come giocare con il fuoco», dice Shahllah. A Nargis Radio tifavano perché Zulala vincesse Afghan Star. E ci sono tutte rimaste malissimo quando ha perso. «Penso che se ne dovrebbe andare dalla nostra città», dice Sabah Gul. «Qui ri’utano il fatto che delle donne possano fare le giornalist­e, come potrebbero mai accettare una ragazza che sogna di fare la cantante?».

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