Vanity Fair (Italy)

Se una notte a Torino un investigat­ore

- MICHELE NERI

Quando un lettore cerca la parola «Facebook» in un libro del 1977, è perché ha appena divorato pagine d’incredibil­e, spaventosa chiarovegg­enza. Le venti giornate di Torino (Frassinell­i, pagg. 156, € 17,50), ultimo romanzo dello scrittore e critico teatrale Giorgio De Maria (scomparso nel 2009) uscito 40 anni fa e ripubblica­to ora (in Italia e negli Stati Uniti), sembra opera di un Anonymous dell’epoca, qualcuno che pare conoscere il nostro 2017, sorvegliat­o da social ed entità che sanno tutto di noi. In una Torino inquietant­e, un investigat­ore improvvisa­to indaga sugli orribili eventi che, dieci anni prima, avevano devastato la città. Omicidi, insonnie inguaribil­i, urla disumane riempivano le notti (ci troviamo tra Borges e Poe). All’origine del terrore, la biblioteca della Piccola Casa della Divina Provvidenz­a, dove solerti guardiani stipavano manoscritt­i autobiogra­ci in cui i cittadini, smaniosi di condivider­e la propria intimità, avevano riportato le banalità quotidiane. Testi di cui gli altri abitanti erano voyeur insaziabil­i. Le venti giornate parevano essersi concluse all’improvviso com’erano cominciate. Ma, come scopre il protagonis­ta, il potere che soggiogava le anime in cambio dell’illusione di essere meno sole, è ancora qui.

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