Caro diario, ti odio moltissimo
Se fosse un’opera d’arte surrealista, porterebbe scritto sopra: «Questo non è un diario». Il secondo libro arrivato in Italia dell’americana Sarah Manguso s’intitola in originale Ongoingness,e Andanza (NN, pagg. 116, € 15; trad. G. Guerzoni) «è più un’invenzione, o qualcosa di simile», dice l’editrice Eugenia Dubini. «“Andantità”, “In eri”, “Continuità”, nulla ci pareva all’altezza di quella danza del mutamento che sta nella parola del titolo, e che è nel testo, nella sua intima corrispondenza. E una notte mi è venuta in mente questa». Andanza è un non-diario – l’autrice decide di non riportare nessuna del milione di parole che compongono i suoi diari – in forma di rapsodia, una raccolta psichedelica di meditazioni sulla scrittura («scrivevo per poter dire che stavo davvero prestando attenzione. Il diario era la mia difesa dalla paura di svegliarmi alla ne della vita e rendermi conto che me l’ero persa»), la maternità, la morte. E la memoria, dunque il tempo, sublime mistero: «Mai come ora mi rendo conto che il tempo lineare è la somma del tempo attuale, di Tutto il Tempo, e del per sempre che continua da sempre». Non è molto diverso da quello che dice Carlo Rovelli nel suo indispensabile L’ordine del tempo (Adelphi), che può essere riassunto così: «Le cose non sono, accadono. Il mondo è un insieme di eventi». Con una lingua controllata, anti-diaristica, Manguso rende il proprio diventare grande, donna, madre di un neonato prima e di un bambino di pochi anni poi, in una specie di memoir il cui scopo ultimo è forse quello a cui Susan Sontag accennava in Reborn: «Nel mio diario, io creo me stessa».