La vita dopo Brad
Il presente da mamma single, il trauma della separazione. E poi il ilm più importante, sul genocidio cambogiano, dedicato al Paese che l’ha trasformata. ANGELINA JOLIE racconta gli sforzi per «sanare le cicatrici della nostra famiglia». E spiega perché una come lei non sarà mai normale (per fortuna)
Come quasi tutto quello che riguarda Angelina Jolie, mettere piede in casa sua è un’esperienza così incredibile che viene da chiedersi se sia reale o il prodotto di un’accurata orchestrazione. Gli imponenti cancelli della villa a Los Feliz, che ha acquistato da poco – una dimora di mille metri quadrati in stile Beaux-Arts appartenuta un tempo al mitico regista Cecil B. DeMille –, si aprono pian piano rivelando una distesa di prati verdi bordati di alberi lussureggianti. Non c’è nessuno ed è tutto silenzioso a parte i suoni delicati delle fontane che formano un arco sulla piscina. Molte porte della villa sono aperte, come l’indovinello di una aba: da quale è meglio entrare? Dentro, c’è un’atmosfera quieta e ariosa: nestre aperte e brezza, candele e arredamento bianco panna. Finalmente Angelina emerge dall’altro lato della casa e uttua nella stanza in un caftano bianco, lungo no ai piedi. Ha i capelli sciolti, i piedi nudi, solo un velo di trucco, la pelle luminosa. Fa un gran sorriso, e ricorda un’eterea, benevola ninfa dei boschi. Ma appena inizia a parlare capisci che ogni idea preconcetta su di lei va scartata. Non è una dea celestiale. Non è una buonista arrogante. Non è una maniaca del controllo, o almeno non sembra. Piuttosto, sembra proprio una persona normale, amichevole e pratica. Mi racconta della sua grande casa vuota, dove si è trasferita da poco con i sei gli. Non l’ha scelta tanto per la storia o l’architettura prestigiosa. Aveva bisogno di una casa grande e in fretta, in una zona tranquilla e con molte stanze: questa, che era in vendita per circa 25 milioni di dollari, ha sei camere da letto e dieci bagni. Dopo aver chiesto il divorzio da Brad Pitt nel settembre del 2016, ha passato nove mesi in atto, praticamente in mezzo alle valigie. E quindi non ha
«Non voglio che i miei igli siano angosciati per me. Penso sia importante andare a piangere nella doccia e non di fronte a loro»
ancora nito di disfarle, a malapena si orienta, e non sa bene quale sia il posto migliore per chiacchierare. Perciò vaga da una stanza all’altra – la meravigliosa cucina, l’elegante libreria grigia con la scala per raggiungere gli sca ali, il vasto pianerottolo ai piedi di una grandiosa scalinata, con un tavolo rotondo su cui spicca un gran mazzo di
ori bianchi. Alla ne decide per il soggiorno, che un amico decoratore di scena ha arredato al volo, con due divani color panna e grandi cuscini decorativi. Li ssa con aria incuriosita. «Non sapevo nemmeno ci fosse bisogno di “cuscini decorativi”». Arredare, comprare cose per la casa, «lo faceva sempre Brad». Come per punzecchiarla, il suo grande rottweiler, Dusty, dopo aver fatto un tu o in piscina, salta sul divano e lo sporca. Lei sospira divertita e cerca di pulirlo con la mano, poi lascia perdere e si siede un po’ più in là. La vita nella sua casa è così, a quanto pare: caotica, rilassata, normale. I bambini sono educati ma non si comportano in modo forzato. Zahara, 12 anni, che l’attrice descrive come «la roccia» di famiglia, scende da noi. «Zaz!», grida Angelina interrompendosi. Zahara abbraccia il cane bagnato e sua madre le racconta ridendo della nuotata che si è appena fatto. Ci trasferiamo in cucina, dove Angelina si prepara un tè. Vivienne, 9 anni, arriva con un’amica da cui la notte prima è rimasta a dormire. La mamma la prende tra le braccia. Molla la sua sacca sul bancone ed esce a giocare con la sua amica. Jolie prende un lembo di una coperta logora, tutta strappata, e spiega ridendo: «Ha 32 coperte. Ma le piace questa, e si arrabbia se gliela lavi. L’altro giorno mi ha detto: “Mamma, sento il sapore della mia coperta”. “Tesoro, quello è il segno che dobbiamo proprio lavarla”». Fuori troviamo Shiloh, 11 anni, e Knox, 9. Alla prima piace vestirsi da maschio: ha una giacca mimetica, bermuda lunghi e grosse sneakers nere. Knox vuole sapere quando avranno lo scivolo ad acqua. «E se prima mi dicessi un bel “Ciao mamma”?», dice lei con un abbraccio, e sembra proprio di sentire una qualsiasi madre americana, amorevole ed esasperata.
Angelina Jolie e Brad Pitt, che sono stati insieme per 12 anni e sembravano la coppia che si era evoluta più gloriosamente a Hollywood, si sono separati nel settembre dell’anno scorso. Lei ha chiesto il divorzio all’improvviso, «per il bene della famiglia», secondo il suo avvocato, annunciando che stava cercando di ottenere l’a¬do esclusivo dei gli, tre dei quali sono adottati (Maddox, 16, Pax, 13, e Zahara), e tre biologici (Shiloh, Vivienne e Knox). C’era tensione da parecchio tempo, ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato un drammatico viaggio su un aereo privato, dove a quanto pare c’era stato uno scontro sico e verbale tra Brad e Maddox. Appena atterrati, Angelina era andata a casa con i gli, in pratica sbattendo fuori il marito. Le autorità avevano ricevuto una chiamata anonima. L’Fbi, con il dipartimento per i servizi sociali, aveva cominciato a indagare su Brad Pitt per abuso di minori. La pratica era stata archiviata e lui aveva detto in seguito, in un’intervista a GQ Style, che aveva so erto moltissimo quando la sua famiglia si era all’improvviso disgregata e ammetteva un grave problema di alcolismo. Girava voce che avesse una storia con Marion Cotillard (negata sia da lei sia da lui). Angelina si era mossa prima – saggiamente, dal punto di vista delle pubbliche relazioni, ma Brad ha conquistato molti cuori con il mea culpa su GQ Style. I due stanno ancora negoziando i termini del divorzio. Per lei, la cui vita è già piena no a scoppiare, tutto è diventato ancora più complicato, perché ora deve gestire tutto da sola. L’organizzazione quotidiana – appuntamenti dal medico, svaghi, pasti, fare e disfare gli zaini per la scuola –è a dir poco faticosa. E poi c’è la fatica più profonda, quella emotiva. «È stata davvero dura, e stiamo cominciando a respirare soltanto ora. Questa casa è un grande passo avanti per noi, e stiamo tutti facendo del nostro meglio per sanare le cicatrici della nostra famiglia». Guarda caso, questa traumatica esperienza personale è avvenuta proprio nello stesso periodo in cui girava il suo lm più personale nora. Per primo hanno ucciso mio padre è un toccante adattamento del memoir del 2000 di Loung Ung sul genocidio dei Khmer Rossi, in cui i genitori della scrittrice e due dei suoi fratelli sono morti insieme a due milioni circa di altri cambogiani. Girato tutto in Cambogia e in lingua Khmer, il lm di Net©ix è la produzione più imponente che il Paese abbia ospitato dai tempi della guerra, e secondo molti
«Brad e io teniamo l’uno all’altra e abbiamo a cuore la nostra famiglia. Stiamo lavorando insieme per raggiungere un obiettivo comune»
«Non è che penso: “Adesso voglio una vita spericolata”. È che non riesco a fare altrimenti»
cambogiani anche una delle opere che meglio rappresenta quel capitolo della loro storia, di cui fanno ancora fatica a parlare. Ma se per molti cambogiani è anche un regalo, è di certo un regalo di ringraziamento. Per lei, la Cambogia è il luogo in cui ha iniziato a formare la sua famiglia, e dove ha vissuto la trasformazione catartica che l’ha resa la donna che è oggi.
Ricordate, se ci riuscite, l’Angelina di ne anni ’90, l’epoca di «Angie La Pazza» («Peak Crazy»). Specializzata in personaggi cupi, che sembrano la proiezione della sua parte più inquieta, ribelle, vince tre Golden Globe e un Oscar come migliore attrice non protagonista per il ruolo di una ragazza con un disturbo borderline di personalità in Ragazze interrotte. In quel periodo parla a ruota libera di aver usato l’eroina, del fatto che ogni tanto si tagliuzza, e della sua passione per i coltelli. Lei e il marito, l’attore Billy Bob Thornton, portano al collo un pendente con dentro il sangue essiccato l’uno dell’altra, e si vantano pubblicamente di fare sesso selvaggio. Alla cerimonia per la consegna degli Oscar, nel 2000, accenna in modo provocatorio di essere «così innamorata…» di suo fratello James, e lo bacia con un’intimità inquietante. Di certo da bambina non sono mancate grandi soerenze nella sua vita: suo padre, l’attore Jon Voight, aveva tradito sua madre, Marcheline Bertrand, e i due si erano separati presto. Ma erano dolori da primo mondo. Il fatto di essere la nuova It girl di Hollywood le fa guadagnare il ruolo da protagonista in Lara Croft: Tomb Raider. Caso vuole che il lm sia girato in Cambogia. Lì, Angelina, cresciuta in una bolla di privilegio tra Los Angeles e New York, vede la soerenza vera: povertà, menomazioni dovute alle mine, una generazione di parenti cancellata. E nonostante le loro profonde sofferenze, «ho conosciuto persone così gentili, aettuose, aperte e, certo, anche molto complesse», ricorda lei. «Se fai un giro in macchina dalle nostre parti, vedi persone che hanno davvero tutto, ma poche facce che hanno un’aria felice. In Cambogia c’è gente che prende una coperta e va a fare un picnic per guardare il tramonto». All’improvviso è incuriosita dal mondo. Un giorno, a Siem Reap, prende in mano un libro comprato in strada per due dollari: è il memoir di Loung Ung. Quel libro è tra i principali fattori che la convincono a cercare un obiettivo più alto da perseguire nella vita. Nel 2001 contatta le Nazioni Unite e dopo qualche tempo diventa ambasciatrice di buona volontà dell’Alto commissariato per i rifugiati. In una delle sue prime missioni per le Nazioni Unite, nel 2002, torna in Cambogia per incontrare le Ong che si occupano dei problemi collegati alle mine. Tra di loro c’è Ung, autrice del libro che l’ha trasformata, che si è trasferita in America ma da sempre si dedica alle questioni della Cambogia. Non ha mai visto un lm di Angelina Jolie, che comunque non è di certo la tipica star del cinema. «Era solo un essere umano adorabile», ricorda Ung. «E aveva voglia di sporcarsi le mani». Tra loro scatta la scintilla e decidono di viaggiare insieme in una parte del Paese ancora piena di mine. Lì inizia una sequenza di eventi che sembra scritta per un lm. Incontrano un gruppo di sminatori e partono in sella a uno scooter, armate solo di torce e carta igienica, quando il monsone le blocca. Fradice, dormono su un’amaca. Prima di addormentarsi, Angelina si rende conto di darsi già a tal punto di Loung da chiederle una cosa molto personale, il parere su un’idea a cui pensa da tempo: adottare un orfano cambogiano. «Le avevo chiesto se, essendo lei stessa orfana, le sembrava oensivo che una persona di un altro Paese come me adottasse un bambino del luogo», ricorda la Jolie. Loung Ung si dimostra del tutto favorevole. «Angie era materna con tutti, non solo con i bambini. Avrei voluto che adottasse me», dice. Per l’attrice, l’entusiasmo dell’amica è decisivo. «Se avesse reagito in modo diverso», spiega, «probabilmente avrei cambiato idea». Da allora, Loung è una delle sue amiche più intime. Angelina avvia subito le procedure per l’adozione. Un paio di mesi più tardi fa visita a un orfanotroo di Battambang, dopo essersi ripromessa di vederne soltanto uno, per evitare la sensazione di «fare shopping». Ma si sente a disagio mentre incontra i bambini. «Mi sembrava di non provare a¢nità con nessuno». Poi le dicono: «C’è anche un altro bambino». Maddox è in una specie di scatola appesa al softto. Lei guarda lui. Il piccolo guarda lei. «Mi sono messa a piangere e non smettevo più», ricorda. E così inizia un progetto, durato quindici anni, in cui lei ricrea l’immagine di se stessa, espandendo il suo mondo, la famiglia, la carriera. Compra una casa in Cambogia, prende la cittadinanza e nel 2003 fonda quella che diventerà la Maddox Jolie-Pitt Foundation, a sostegno della salute, dell’istruzione, dell’ambiente e delle infrastrutture del Paese. Intensica la sua opera per le Nazioni Unite con decine di missioni. Si separa da Thornton, che non capisce la sua nuova passione, e adotta la seconda glia, Zahara, in Etiopia. Nel 2004 conosce Brad Pitt sul set di Mr. & Mrs. Smith, ai tempi in cui lui è ancora sposato con Jennifer Aniston. Frequentare Brad, il ragazzo d’oro di Hollywood, la catapulta a un nuovo livello di celebrità. Per lui stare con Angelina signica fare come voleva lei, e segna l’inizio della loro vita da lantropi. Brad adotta u¢cialmente Maddox e Zahara e convince lei ad avere dei gli biologici. Nel 2006, in Namibia, nasce Shiloh, e nel 2008 arrivano i gemelli Vivienne e Knox. Nel frattempo hanno adottato Pax, di tre anni, in Vietnam, e comprato altre case in Francia, Spagna, New York e New Orleans. Mentre lui sforna un lm dopo l’altro, lei dirige il suo primo lm, Nella terra del sangue e del miele, sulla Bosnia.
Insieme sembrano inarrestabili, gli abitanti più generosi e creativi del pianeta. Vanno in giro per il mondo come un clan di otto nomadi, creano arte, fanno del bene, e mettono su casa ovunque vadano. Si sposano nel 2014, principalmente per accontentare i gli. Hanno i mezzi per portarsi appresso anche i tutor per i gli, ma per Angelina educazione significa immergersi nel mondo reale, cercare di capire «una piccola parte di un disegno più grande». Per un certo periodo va tutto a meraviglia. Nel 2012 lei ha appena nito Nella terra del sangue e del miele e vuole che il suo prossimo lm sia altrettanto signicativo, e a quel punto lavora sulla storia di Ung da più di
dieci anni. Ma quando arrivano a completare la prima bozza, Angelina ha la possibilità di dirigere Unbroken, e così mette da parte la sceneggiatura. È Maddox a spronarla. «A un certo punto mi ha detto: “È ora di farlo”», racconta. Sa che il glio sarà coinvolto nella produzione, che sarà lì a «guardare gli orrori che gli abitanti del Paese dove era nato si erano initti a vicenda. Quindi doveva essere pronto». Jolie e Ung si buttano nel progetto. Maddox, che nei titoli di testa del lm gura come produttore esecutivo, legge e commenta una bozza dopo l’altra. Angelina propone il progetto a Netix, e il direttore creativo Ted Sarandos rma senza esitazioni. Nonostante i suoi legami con la Cambogia, Jolie sente il bisogno di essere aancata da un regista cambogiano che la aiuti a guidare il progetto. Si rivolge quindi a Rithy Panh, uno dei più famosi lmmaker del Paese, che ha arontato il tema dei Khmer Rossi in vari documentari, tra cui The Missing Picture, candidato agli Oscar come miglior lm in lingua straniera nel 2014. Lei e Panh si trovano d’accordo sul fatto che il
lm si possa realizzare solo se la Cambogia lo vuole davvero. Angelina esita, e aronta i ministri della Cultura del Paese con cautela, spiegando che il lm intende raccontare non solo la storia di Loung Ung, ma anche quella di un popolo. Il suo legame personale con la Cambogia fa sicuramente la dierenza, spiega Ung. «In Cambogia Angie è trattata con grande rispetto». E il Paese glielo dimostra: le autorità hanno chiuso Battambang per giorni, dando ai registi il permesso di atterrare in zone remote e hanno messo a disposizione 500 soldati del proprio esercito per impersonare l’armata Khmer. «Dire che questo lm è stato fatto dal Paese non è solo una cosa poetica, è la verità», afferma Angelina. Tra il cast e la troupe hanno partecipato circa 3.500 cambogiani. Quell’autentico vissuto di dolore si risveglia in tutti coloro che sono coinvolti nel lm, creando sul set un’atmosfera che non si è mai vista prima. «Non c’era una sola persona che non avesse un coinvolgimento personale. Non erano lì soltanto per fare un lavoro, stavano rivivendo i traumi di chi aveva perso tutto, e per loro era una specie di tributo». Alcuni hanno ashback e incubi, per cui sul set c’è sempre uno psicoterapeuta. E poi ci sono i curiosi, che non sanno nulla del
lm, e sono rimasti traumatizzati. In una scena, ricorda la regista, «quando i Khmer Rossi arrivano su un ponte, molti si sono inginocchiati, in lacrime. Erano terrorizzati, pensavano fossero tornati per davvero». Data la mole e la complessità della produzione, un altro tipo di regista hollywoodiano potrebbe, consciamente o meno, intromettersi e far valere il proprio potere in modo presuntuoso, ma secondo Ung e Panh, Angelina conosce la Cambogia così bene da aver introiettato parecchi elementi del carattere locale. A pranzo, ricorda Panh, aspettava in coda come tutti gli altri e non ha mai alzato la voce. Molti occhi sono puntati su Maddox, che lì è famoso quanto sua madre. «Per lui era un modo di ripercorrere il tragitto che molto probabilmente avevano fatto i suoi genitori», racconta Angelina. Che non sapeva come il glio avrebbe reagito di fronte a quell’esperienza. Avrebbe provato un senso di appartenenza? Gli sarebbe venuta voglia di scappare? Poi un mattino Maddox se ne esce con una domanda: «Posso dormire a casa mia e invitare i miei amici?», riferendosi alla loro casa nella giungla. Lei è entusiasta: «Non gliel’avevo mai sentito dire. Non si possono fare pressioni, non basta “Ehi, bello avere casa qui, vero?”. Devi solo continuare a portarli, farli ambientare, e sperare che si sentano orgogliosi prima o poi, che si trovino a loro agio». Anche gli altri cinque gli vanno in Cambogia e ricoprono un ruolo nel lm: Pax si occupa della fotogra a ssa, gli altri quattro sono sul set ogni giorno e fanno amicizia con gli attori più piccoli. In febbraio, il lm viene mostrato in anteprima a un pubblico di mille persone nell’an teatro all’aperto vicino al complesso dei templi di Angkor Wat. Secondo varie testimonianze, molti piangono. Quello che commuove Angelina più di ogni altra cosa è che «il popolo cambogiano assisteva all’anteprima di un lm importante, un
lm per cui gli abitanti di quel Paese avevano costruito i set. Erano stati i loro attori a fare un gran lavoro, era il loro Paese a rimanere meraviglioso nonostante tutti gli orrori che aveva visto».
Purtroppo però, mentre fa la storia della Cambogia con il suo lm, la relazione con Brad comincia a vacillare. Quando Per primo hanno ucciso mio padre è in post-produzione, nell’estate del 2016, «le cose hanno cominciato ad andare davvero male», racconta. «Le cose si sono fatte “complicate”». A Hollywood gira voce che il loro stile di vita sia diventato un peso per Brad Pitt, che vuole una vita più stabile, più normale per tutta la famiglia. Quando glielo chiedo, per la prima volta lei si mette un po’ sulla difensiva. «Il nostro stile di vita non aveva nulla di negativo», dice subito con fermezza. «Non era quello il problema. È e rimane una delle opportunità più meravigliose che possiamo dare ai nostri gli. Sono sei persone molto decise, riflessive, sveglie. Sono davvero orgogliosa di loro». Sottolinea che, per il bene dei
gli, preferisce non parlare della separazione. Eppure ho l’impressione che voglia chiarire il suo punto di vista, anche se sembra camminare su una fune. «Sono stati molto coraggiosi. Davvero coraggiosi». Quando? «Quando ce ne è stato bisogno». Poi fa altre aermazioni, altrettanto misteriose. «Ci stiamo tutti riprendendo dagli eventi che hanno portato al divorzio. Non sono tanto le ferite del divorzio, i ragazzi stanno guarendo da altre cose… dalla vita, dalle cose della vita». Accenno al mea culpa di Pitt su GQ Style. L’ha sorpresa? «No», risponde,
imperturbabile. Faccio riferimento ai tabloid secondo cui la comunicazione tra loro due è migliorata, e le chiedo se è vero. Lei rimane a lungo in silenzio. Abbassa lo sguardo, ri ette sulla risposta. «Ci teniamo l’uno all’altra e abbiamo a cuore la nostra famiglia. Stiamo lavorando insieme per raggiungere un obiettivo comune». Appena sotto la supercie si percepisce la rabbia e il dolore, ma sta cercando di tenere le emozioni sotto controllo. «Da piccola ero molto preoccupata per mia madre. Sempre preoccupata. Non voglio che i miei gli siano angosciati per me. Penso sia importante andare a piangere nella doccia, e non davanti a loro. Devono sapere che andrà tutto bene, anche se tu non ne sei proprio così sicura». Il desiderio di proteggere i suoi gli si è intensicato dopo aver sorato di recente lo spettro del cancro alle ovaie, la malattia che ha interrotto la vita di sua madre a soli 56 anni. Nel 2013, in un editoriale sul New York Times, ha spiegato la sua decisione di sottoporsi a un intervento preventivo di doppia mastectomia e chirurgia ricostruttiva dopo aver saputo di essere portatrice del gene BRCA1. Due anni dopo, riceve una telefonata dal suo medico, preoccupato per alcuni livelli nel sangue che potevano indicare la presenza di un tumore. «Dieci minuti dopo mi sembrava che la stanza mi girasse intorno, e pensavo solo: “Come…?”». Non aveva detto niente ai gli, si era sottoposta ad altri esami e aveva sopportato l’agonia dell’attesa. Quando le dicono che non ha un tumore, «sono crollata, in ginocchio». Subito dopo prende appuntamento per farsi rimuovere le ovaie. «Sono entrata in sala operatoria a cuor leggero, felice. Perché a quel punto era solo preventivo». Dopo di che entra subito in menopausa. Lo scorso anno, oltre a cominciare a soffrire di ipertensione, Angelina ha sviluppato la paralisi di Bell, risultato di un danno ai nervi facciali, che le aveva deformato un lato del viso. Dice di essere guarita grazie all’agopuntura. «Spesso le donne si mettono all’ultimo posto, in famiglia», ri ette, «nché non ne risente la salute». La pelle è diventata secca, mi racconta, e ha molti più capelli bianchi. «Non so dire se sia la menopausa o l’anno che ho passato», dice scherzando. Ride dell’idea che qualcuno la veda ancora come un sex symbol, ma aggiunge: «In realtà mi sento molto più a mio agio con me stessa, perché ho la sensazione di avere fatto le scelte giuste, di aver davvero messo la mia famiglia al primo posto. Sono responsabile della mia vita, della mia salute. Penso sia questo che fa sentire una donna completa».
Oltre a promuovere Per primo hanno ucciso mio padre, oggi non ha fretta di mettersi al lavoro su un altro lm. «Voglio solo preparare la colazione come si deve e tenere bene la casa. È la mia passione. Su richiesta dei miei gli, sto prendendo lezioni di cucina. Tutte le sere prima di addormentarmi mi chiedo: “Oggi sono stata un’ottima madre o così così?”». Ha ricucito i rapporti con il padre, da cui si era allontanata. «È stato molto sensibile, ha capito che i ragazzi avevano bisogno del nonno in questo periodo. Sono dovuta andare a una seduta di psicoterapia ieri sera, e lui è stato con loro. Più o meno conosce la regola: non è necessario mettersi al loro livello per giocare. Devi solo essere te stesso, un nonno creativo che racconta storie, che legge libri». La sua maggiore fonte di conforto è stata Loung Ung. «Lei è l’amica che si rimbocca le maniche, prende un aereo e viene ad aiutarti la mattina di Natale. È la mia amica più cara. È lei che mi consola quando piango». Domani, Angelina e i suoi gli partiranno per l’Africa. Andranno in Namibia, dove è nata Shiloh, e in Kenya, dove l’attrice segue un progetto della Preventing Sexual Violence Initiative, un’associazione inglese per la prevenzione degli abusi sessuali, che prevede di dare a soldati e peacekeeper un addestramento specico sulle strategie per proteggere le donne dalle violenze sessuali in zone di crisi. Non è certo una gita da sogno per i bambini, e lei ammette che i più grandi erano un po’ dubbiosi. «So bene che i ragazzi sono adolescenti ormai e forse preferirebbero guardare la Tv con i loro amici. Ma non è che si riutano. Si siedono sul bordo del letto e dicono: “Cos’è che andiamo a fare?”». Gli ha promesso che ci saranno anche un sacco di attività divertenti, come andare in skateboard sulla sabbia. In ogni caso, «hanno capito che è un progetto importante e che la mamma pensa che sarà ancora più importante quando loro saranno grandi». Sa che sembra un po’ strano, ma Angelina Jolie è fatta così, non riesce a ngere. «Non è che mi sveglio e penso, oh adesso voglio una vita spericolata. È che non riesco a fare altrimenti. Esattamente come non riesco a fare lo spezzatino. Non posso stare ferma. È da nove mesi che cerco di diventare davvero brava a tenere la casa, a raccogliere le cacche dei cani e a lavare i piatti e a leggere storie della buonanotte. E sto migliorando in tutti e tre i campi. Ma adesso ho voglia di mettermi lo zaino in spalla e partire». È convinta che la sua voglia di esplorare sia contagiosa. L’altro giorno scherzava con Knox sull’idea di «ngere di essere normali». «E lui mi fa: “E chi vuole essere normale? Non siamo normali. Non diventiamo mai normali, per favore”. Grazie, sì! Non siamo normali. Dobbiamo essere orgogliosi del fatto di non essere normali!».