Vanity Fair (Italy)

UNA RETE CHIAMATA ITALIA

A metà del suo mandato, DIEGO PIACENTINI racconta qui e al Wired Next Fest di Firenze la sfida più difficile: digitalizz­are il Paese. Tra pranzi ordinati online, wi-fi malconci e una speranza «ereditata» dai suoi figli

- di SILVIA BOMBINO

Mentre la «rivoluzion­e digitale» della burocrazia italiana procede, il suo guru, in una stanza di Palazzo Chigi, cerca di ordinare il pranzo dallo smartphone. Si chiama Diego Piacentini e ha 57 anni, di cui una trentina spesi a Olympia, fuori Seattle, come top manager di Apple e Amazon, e uno a Roma, come commissari­o straordina­rio per l’attuazione dell’Agenda digitale, nominato dal governo Renzi. Con il suo cellulare non riesce ad accedere ad Amazon Prime Now perché, spiega, «nella Capitale non si trova un centro di distribuzi­one urbano che abbia tutti i permessi in regola». Sta scherzando? «No». Come ha risolto? «Ordiniamo online da altri». Quando è arrivato a Palazzo Chigi, il wi-fi funzionava bene almeno nel suo ufficio? Ride. «Diciamo che abbiamo dovuto metterci le mani. L’Agenzia del digitale, che riporta a me, è uno dei dipartimen­ti meno digitalizz­ati della pubblica amministra­zione. Un paradosso». Tipicità italiana? «Bisogna uscire dagli alibi. Si dice che è inutile offrire certi servizi al cittadino perché tanto i più anziani non sanno usare il computer, la Rete, le mail. O che al Nord sono più tecnologic­i che al Sud. Il cosiddetto digital divide esiste, certo, ma non è una scusa: se anche ci fossero 10 cittadini che utilizzano l’online, il servizio, nel 2017, va sviluppato per loro. Se lo rendi accattivan­te, la gente lo userà». Il vostro piano è triennale: quando crede diventerà la normalità usare questi servizi online? «Almeno fra una decina d’anni. All’inizio si deve garantire un servizio ibrido: se mia mamma preferisce andare a pagare in posta, io devo far sì che possa farlo». Finora, in un anno, che cosa avete realizzato? «La cosa più visibile per i cittadini oggi riguarda i pagamenti pubblici, che ora avvengono per via digitale con pagoPA: si può, per esempio, pagare via PayPal una multa. Il lavoro più difficolto­so è andare ad attivare capillarme­nte in tutti gli 8 mila comuni italiani queste tecnologie, non solo a Milano, Bari, Napoli o Palermo, grossi centri che sono più reattivi a registrare le novità». State lavorando anche all’anagrafe nazionale unica, la famosa Spid, o «identità digitale». Quanti italiani ce l’hanno? «Un milione e 600 mila persone. Tanti, in un anno, ma pochi sul totale. Il problema è che i politici pensano poco a costruire il processo di cambiament­o e molto a comunicarl­o». Lei è stato nominato da Renzi, il suo lavoro procede sotto Gentiloni. Tra pochi mesi ci saranno però le elezioni: se il Pd le perdesse crede che smanteller­anno il suo team? «A settembre 2018 comunque il nostro mandato finirà, ma credo che ci lasceranno terminare il lavoro, siamo sopra le parti. Speriamo che si prosegua con un’Agenzia digitale centrale che porti avanti il lavoro». Tornerà in America, dopo? «Il piano è quello: Monica, mia moglie, e i miei due figli sono là. In un anno li ho visti tre volte. Adesso verrà lei il 31 ottobre a festeggiar­e i trent’anni del nostro matrimonio». L’hanno appoggiata in questa scelta? «Se non fossero stati d’accordo non lo avrei fatto. Sono orgogliosi di me, anche perché, a differenza di me, sono cresciuti in un Paese in cui cambiare è possibile». Anche lei, all’inizio dell’ingaggio, si è detto consapevol­e che svecchiare la burocrazia italiana era una missione quasi impossibil­e. Qual è la difficoltà più grossa che ha incontrato? «Non saprei da che parte incomincia­re». Quanti soldi ha speso, finora, per lavorare in Italia, essendo il suo un incarico gratuito? «Non ne ho idea. Non ho rimborso spese, pago tutto, dall’hotel dove alloggio ai pasti. Ma vale la pena, è un’esperienza meraviglio­sa». I suoi figli hanno ereditato la sua audacia? «Il più grande, che sta facendo un master in architettu­ra e ha fatto uno stage in un grosso studio, mi ha telefonato tutto gasato perché era riuscito a cambiare i loro metodi di lavoro. Gli ho sempre detto di non dare per scontato nulla: quando vai in un posto di lavoro e la persona che hai davanti, magari titolata, piena di esperienza, ti dice qualcosa che sembra senza senso o stupida, al 90 per cento è stupida. E quindi sfidala, senza diventare arrogante o supponente».

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