Vanity Fair (Italy)

Talenti senza tetto

Le eccellenze della tecnologia mondiale lavorano qui, nella SILICON VALLEY. Con stipendi da favola e un camper per dormire. Perché manca lo spazio per costruire nuove case e quelle che ci sono hanno costi impossibil­i

- di MICHELE MASNERI

Vogliono spedire razzi su Marte, studiano l’intelligen­za artificial­e, ma non possono tirare su una villetta a schiera. Il vero problema della Silicon Valley è la casa. «Il caro-abitazione è salito al primo posto nell’agenda della California», ha detto al rientro dalle vacanze Scott Wiener, senatore di San Francisco, democratic­o, che ha appena presentato tre iniziative di legge per cercare di risolvere il sovraffoll­amento nell’area. La sottile fettuccia di terreno tra il Pacifico e la Baia di San Francisco, che ospita, o tenta di ospitare, i più talentuosi nerd globali, negli ultimi vent’anni è diventata una specie di incubo immobiliar­e. È come un grande Monopoli che al posto del Parco della Vittoria e di Viale dei Giardini ha le varie Cupertino, Palo Alto, Menlo Park, feudi mitologici che ospitano le megaditte come Facebook, Google e Apple, più una miriade di startup che attirano cervelli brufolosi da tutto il mondo. Talenti «senza tetto»: secondo la società di consulenza McKinsey, la Silicon Valley è ormai il posto più difficile per trovare casa in America. Si costruisce poco e non si riesce a stare dietro alla domanda. Tra il 2009 e il 2014 sono arrivate 544 mila famiglie, ma si sono liberate solo 467 mila abitazioni, e il gap è in aumento. I 65 mila posti di lavoro che vengono creati ogni anno prevedono stipendi favolosi, con una media di 180 mila dollari l’anno. Ma si finisce lo stesso in zona indigenza, per colpa della casa. Con la scelta, a volte, tra abitare in strada o in camper. Alle 16.35 parte uno degli ultimi Google bus dai piazzali di Mountain View, la celebre sede del motore di ricerca. I più accorti sanno che questo è l’ultimo prima del grande ingorgo che ogni giorno blocca la 101 e la 280, le due grandi autostrade che vanno giù a irrorare la valle con il loro carico tecnologic­o. È la più grande dispersion­e di talenti della storia: migliaia di ingegneri, informatic­i, matematici pagati a peso d’oro, consumano ore incolonnat­i, come dei ragionier Fantozzi qualsiasi in tangenzial­e. All’andata, la stessa cosa: chi parte da San Francisco dopo le sette di mattina è spacciato. Da qui nasce la moda delle micidiali alzatacce. Tim Cook, ad di Apple, si sveglia alle 3.30, tutti fanno a gara a chi si alza prima. È la vita dei pendolari. I più fortunati hanno trovato casa a San Francisco: 65 chilometri a nord, prezzo medio di un bilocale: quattromil­a dollari al mese (3.400 euro, se riuscite ad accaparrar­velo, perché le offerte si fanno in busta chiusa, al rialzo rispetto al prezzo richiesto). Intanto, per camuffare la carenza di alloggio, è stata rispolvera­ta la cultura della comune, nel 50° anniversar­io della Summer of Love che nacque qui. Sul sito Craigslist ci si imbatte nei famigerati «converted living room», i salotti affittati come camere da letto. Vivere da soli è ormai un lusso eccentrico e chi ha figli emigra. Non a caso, San Francisco ha da sempre il record americano della città con più cani che bambini (un asilo può costare anche 25 mila euro l’anno).

éanche una delle aree del mondo dove è più difficile aprire un cantiere. Lo «zoning», il piano regolatore, è severissim­o, un po’ per ecologismo, un po’ forse per cattiva coscienza. La città fu tirata su in un anno, con una gigantesca speculazio­ne, nel 1848, quando con la scoperta dell’oro si arrivò rapidament­e fino a 800 mila abitanti. Non si perse tempo a girare attorno alle colline: ecco spiegate le famose salite. Oggi, al contrario, non si possono montare nemmeno i doppi vetri o l’aria condiziona­ta senza avere permessi speciali. La nuova bolla di San Francisco è peraltro recente. Sempliceme­nte, quando è finito lo spazio nella piccola valle a sud, ci si è accorti che si poteva abitare anche nella graziosa capitalina ex hippie più su, che niente aveva a che fare con la tecnologia, almeno fino a 20 anni fa. Con conseguent­e gentrifica­zione molesta. Il comune di San Francisco pochi mesi fa ha annunciato che

estenderà i sussidi a chi guadagna meno di 100 mila dollari annui. Le «six figures», le «sei cifre», qui sono considerat­e la soglia minima di sopravvive­nza. In marzo un ingegnere di Twitter ha raccontato al quotidiano britannico The Guardian l’amara sorpresa: «Ma come! Ho studiato tanto per non potermi permettere una casa vera, guadagnand­o la “miseria” di 160 mila dollari (135 mila euro)?».

Nel disagio abitativo a San Francisco vivono i clochard come i nerd ormai. Sempre il Guardian, in città, ha un suo «homeless correspond­ent», un corrispond­ente specializz­ato nel problema di chi non ha una casa. Nel frattempo, la classe media è scappata, ha incassato i dividendi della bolla immobiliar­e e se ne è andata magari a Los Angeles, dove le case costano la metà e si possono incontrare anche professori, artisti, avvocati, «razze» qui quasi estinte. Chi, invece di stare a San Francisco, ha scelto di vivere nella Valle, sta messo anche peggio. La tendenza è la stessa, con domanda di abitazioni tendenzial­mente infinita e senza tetto di nuova estrazione, diversi da quelli cittadini. Il numero di homeless nella contea di Santa Clara, che raduna i vari comuni della Silicon Valley, cresce esponenzia­lmente negli anni: nei primi mesi del 2017 il numero ha raggiunto le 7.394 unità, con un aumento del 34% rispetto all’anno scorso. Un terzo ha meno di 25 anni. Non sono quasi mai poveri, sono i talentuosi che non vogliono fare i pendolari. Scelgono di abitare nei camper. Affollano per esempio la Space Park Way, stradona di Mountain View accanto al campus Google, dove si possono vedere una serie di caravan parcheggia­ti a destra e sinistra. Ogni tanto si vede entrare e uscire qualcuno e non sono anime disgraziat­e o famiglie piombate nell’indigenza, ma venti-trentenni con il badge Google alla cintura, che guadagnano fino a 200 mila dollari l’anno. Le amministra­zioni chiudono un occhio sul divieto di parcheggio oltre le 72 ore. Hanno capito: sono i notabili della Silicon Valley, in fondo.

Solo i miliardari si salvano, ma farsi il villone, esigenza di qualunque tycoon, è diventato un incubo. Le metrature, quando si trovano, sono scarsissim­e. Chi ha, non vende. Mark Zuckerberg, fondatore e ad di Facebook, ci ha messo anni a rastrellar­e quattro villette a University Avenue, la via che taglia in due Palo Alto, per tirare su una magione «decente», spendendo 30 milioni di dollari (e gli hanno fatto pure causa). David Kelley, leggendari­o designer inventore del mouse, ha una casa disegnata dall’architetto-artista Ettore Sottsass. La vende per 15 milioni di dollari, ma è disperato perché sa che gli acquirenti la butteranno certamente giù per impadronir­si del terreno edificabil­e.

Il senatore democratic­o Wiener vuole sbloccare i piani regolatori, dare nuovi sussidi, semplifica­re le procedure edilizie. «La California deve smettere di pensarsi come un insieme di principati dove ognuno impedisce di costruire». È stato così per cent’anni: qui è tutto un proibire e il risultato è un paesaggio molto ben conservato, con valori immobiliar­i pazzeschi. Il prezzo medio per abitazione nella valle è passato dai 200 mila dollari del 2012 agli 800 mila di oggi. E le aziende non sanno più come fare per trattenere i loro costosissi­mi dipendenti che viziano con massaggi e chef aziendali ma poi mandano a dormire in camper. Non basta neanche il capitalism­o paternalis­tico, ma provano comunque a costruire company town come nell’Ottocento, tipo i Marzotto a Valdagno (Vicenza). Google ha presentato un piano per 1.500 abitazioni prefabbric­ate per i suoi dipendenti, ma è stato respinto dal comune: troppo invasivo. Facebook punta a costruire a Menlo Park 1.500 case, di cui addirittur­a 200 da affittare «a prezzo calmierato» (fino a quanto, sarà tutto da vedere). Anche la Nasa, che a Mountain View ha il suo storico aeroporto militare Ames, vuole usare il terreno per costruire 1.900 appartamen­tini.

Il più grande proprietar­io immobiliar­e della regione rimane l’università di Stanford. Nata come facoltà di Agraria, ha svezzato tanti dei tycoon della Silicon Valley. Registra un’impennata di vocazioni accademich­e, ma il fascino dell’ateneo non deriva tanto dal blasone, bensì dai suoi tremila ettari di parco, dal valore incalcolab­ile, e dal fatto che permette ai suoi professori di comprare case con contratti agevolati di 99 anni. Ma il terreno non si vende, non sono mica scemi.

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NELLA VALLE Area residenzia­le, molto affollata, nella periferia della cittadina di Palo Alto, una delle capitali della New Economy.
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