FINIREMO TUTTI QUANTI IN MONASTERO
Dagli anni Sessanta è tra gli artisti più noti (e venduti) al mondo. Eppure, a 84 anni, il padre dell’Arte povera MICHELANGELO PISTOLETTO crea, collabora con musicisti, tiene conferenze, pubblica manifesti. Con lo sguardo rivolto in avanti
Michelangelo Pistoletto è una rockstar. Non è un’iperbole: a fine agosto era davanti a 30 mila ragazzi sul palco di un festival a Treviso, con Duran Duran e Libertines. Un gigante dell’arte contemporanea, aveva con sé l’opera più famosa, la Venere degli stracci che quest’anno compie mezzo secolo, e con lei l’Arte povera. «Mi porta un bicchiere di quella cosa rossa… sì, succo di mirtillo». Ci incontriamo al caffè della Triennale di Milano, c’è il sole, Gloria Gaynor in sottofondo. La moglie Maria Pioppi, compagna e complice da una vita, ha lunghi orecchini di metallo che riproducono il Terzo Paradiso, due cerchi piccoli che si uniscono in uno grande al centro: il punto di nascita di una nuova società. Vivono insieme nell’ex fabbrica di Biella trasformata in fondazione, la Cittadellarte. Hanno casa anche nelle Cinque Terre, a Corniglia, dove a 84 anni lui ancora si tuffa dagli scogli. Ha girato il mondo, esposto ovunque; il 30 settembre sarà a Pistoia, città capitale della cultura, per inaugurare una mostra e presentare l’ultimo libro-manifesto Ominiteismo e Demopraxia. «Con una cooperativa sociale di donne, Manusa, stiamo costruendo una grande installazione del simbolo del Terzo Paradiso fatto con gli abiti smessi dei pistoiesi. Il primo ad aver contribuito è stato l’attuale sindaco, di centrodestra. È la dimostrazione di come non c’è conflitto tra le opposizioni, ma energia produttiva».
Lei ha portato l’arte in strada negli anni Sessanta, cosa pensa oggi della street art? «È bellissima. C’è ancora bisogno di uscire dalle scatole dell’arte, aprirsi alla società. Ma se diventa abitudine non smuove più niente. Negli anni Sessanta ho aperto lo studio e sono venuti artisti di cinema, teatro, musica, parola, abbiamo portato l’arte nelle strade. Uscivamo dalle istituzioni. Trent’anni dopo ho avviato Cittadellarte, un’istituzione. Che coinvolgendo tutti i settori del tessuto sociale mette in pratica proprio quello che cercavamo di fare
uscendo dalle istituzioni». Una factory creativa dove studiano decine di giovani da tutto il mondo. Una curiosità, sono nati molti amori fra gli allievi? «Certo! E anche separazioni, non saprei dire se sono più i primi o le altre. E sta diventando un’università. L’anno prossimo apre una laurea triennale in Social Innovation Design». Parlando di utopie, lei dov’era nel maggio del ’68? «Il mio ’68 è cominciato nel ’64. Quell’anno ero stato alla Biennale di Venezia, avevo un grande successo perché ero l’unico italiano incluso nelle mostre internazionali della Pop Art americana. Mi chiesero di trasferirmi negli Usa. Il mio gallerista di New York, Leo Castelli, mi disse: guarda che d’ora in avanti per te sarà dura se non vieni qui e dimentichi di essere europeo. Mi dava un consiglio fraterno, ma capii bene che era una questione di potere politico». Trasferirsi a New York non la tentava? «No. Non mi fermavo mai più di tre giorni. È in Europa che è nata la modernità. La verità è che volevano mi trasferissi per fare di Pistoletto un marchio di fabbrica». E non era ciò che lei voleva. «Sono tornato a casa, ho continuato a fare i miei quadri specchianti e a fine ’65 ho realizzato Gli oggetti in meno. Erano opere che si sottraevano al sistema dominante; tutte diverse una dall’altra, impossibile etichettarle. In questo modo disintegravo il marchio Pistoletto. Partendo da quel gesto di autonomia è nata l’Arte povera, l’ultima avanguardia. È stato questo il mio ’68. Ho aperto lo studio con un Manifesto e siamo usciti in strada, creando il gruppo chiamato Zoo». Saltando di un decennio, al ’78, ricorda dov’era il giorno che rapirono Moro? «Il 16 marzo, ricordo bene. Avevo inaugurato a Torino una mostra evento alla galleria Persano con un manifesto, L’arte assume la religione. Stavo scrivendo su un muro “È l’ora del giudizio” quando è arrivato qualcuno gridando “Hanno rapito Moro”. Pazzesco. E l’ora del giudizio continua». In che senso? «I casi della vita. In mostra ora a Venezia per One and One Makes Three, nella Basilica di San Giorgio Maggiore, c’è un mio gruppo di opere intitolate Il tempo del Giudizio. In un gioco di specchi, le grandi religioni si trovano faccia a faccia con se stesse. Pensavo fosse un luogo sconsacrato, invece no. All’inaugurazione ho conosciuto l’abate, un benedettino, abbiamo avuto un dialogo straordinario. Sono sempre più convinto che la società dovrebbe essere come un monastero». Ci spieghi. «Lì tutti sono parimenti necessari. Il priore e quello che fa il portinaio, quello che coltiva l’orto, quello che cucina, ognuno fa quello che è utile e che sa fare, basilarmente non c’è nessuna differenza di potere». A proposito di potere, nel suo libro teorizza che democrazia e monoteismo non possono convivere e che l’arte è espressione di un cambiamento non più rinviabile. «Le cose cambiano continuamente. Questo però è un passaggio epocale. La tecnologia ci permette cose inimmaginabili, ma la ricaduta sulla natura è drammatica. Un tempo la meraviglia di queste scoperte era impensabile, ma lo era anche la distruzione che ha portato. Oggi l’umanità ha varcato la soglia del “terzo Paradiso”, dobbiamo trovare al più presto un equilibrio fra le due polarità, natura e artificio». Alla ricerca dell’equilibrio, il suo Terzo Paradiso è andato anche nello spazio. «Da fine luglio è sulla Stazione spaziale
internazionale come logo della missione Vita, grazie all’astronauta italiano Paolo Nespoli. Con lui e l’Agenzia Spaziale Europea abbiamo creato l’app Spac3: permette di scegliere tra le foto inviate dallo spazio, e rielaborarle con foto proprie attraverso un filtro che riproduce il Terzo Paradiso». Ci crede negli extraterrestri? «Credo in ciò che vedo. Adesso ho bevuto un aperitivo, questo non significa che credo nell’aperitivo, ma so di averlo bevuto. Chiedermi se credo negli alieni è come chiedermi se credo in Dio. Cosa ne so? Credere vuol dire avere fiducia. Io preferisco pensare. Ho scritto questo libro per spiegare che pensando cambiamo le cose». Un tempo guardava con interesse alla nascita del Movimento 5 Stelle, il suo giudizio è cambiato? «Come ho detto, non giudico. Constato. E constato che l’idea di utilizzare Internet per le votazioni possa avere fatto brillare gli occhi a molti. Sono partiti dal “vaffa” con un gran rumore che richiamava tutti gli scontenti. Ma i giovani che si sono dedicati alla politica attraverso l’M5S stanno facendo esattamente quello che hanno sempre fatto gli altri. Il sistema ideologico dei partiti non ha più senso. L’ideologia della Rete come strumento democratico è illusoria: se non hai un modo per rendere le persone partecipi nella pratica reale, resteranno individui sconnessi, anche in Internet». È fra i 100 artisti più venduti al mondo: i soldi sono libertà? «Grazie a quei soldi vive Cittadellarte. Non ci sarò sempre, per questo ho donato le opere alla Fondazione. Vivo con pochissimo, posso stare bene con cento come con dieci». E le piace il rock. Ha collaborato con Gianna Nannini, il Terzo Paradiso è diventato un pezzo dell’ultimo album dei Subsonica. «Con Max Casacci (fondatore della band, ndr) ci conosciamo da tempo, a Torino c’è sempre stato un ambiente creativo importante, sin dai tempi dell’Arte povera. I Subsonica mi piacciono perché hanno una forte consapevolezza del loro ruolo, si sono impegnati contro la tossicodipendenza». Ha mai fumato una canna? «Perché no? Quand’ero giovane, alle serate con gli amici giravano gli spinelli e anche l’Lsd, ma non l’ho mai provato. Qualche spinello sì, abbastanza per decidere che anche se la chiamano leggera, è comunque una droga. Fa perdere la lucidità, e io sono per avere il massimo controllo possibile. Sono contro le dipendenze, non tocco una sigaretta dal 1985». Parliamo di questo fatto che la paragonano spesso a Sean Connery? «Chi lo dice? Affari loro…». Interviene la moglie Maria: «Dai, dillo che in 007, dalla Russia con amore eri tu!». «Maria è di parte, quest’anno poi festeggiamo le nostre nozze d’oro, a novembre, andiamo a Cuba». Complimenti, è un traguardo bellissimo. Maria, a lei l’ultima parola: com’è Michelangelo Pistoletto come marito? «Perfetto. Anche se non ci siamo mai sposati».