Figlie di un dio minore
L’HONDURAS è uno dei Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, con la siccità estrema e le piogge improvvise che stanno uccidendo l’agricoltura. Le contadine, spesso madri single con molti figli, sono le prime vittime. La scelta è tra provare a resiste
Sonia Isabel Triminio è contadina da tutta la vita. La sua famiglia coltivava caffè sulle montagne che circondano la valle dove vive, a Rancho del Obispo. Lì si dedica a mais e fagioli, con cui si preparano le tortillas e frijoles fritos, il piatto nazionale. Ma qualcosa è cambiato rispetto a quando lavorava la terra con i suoi genitori. Sonia, che adesso ha 46 anni e due figli, non è più sicura quando deve seminare, perché l’alternanza di siccità e piogge improvvise e violente degli ultimi anni ha messo in crisi le certezze, tramandate di generazione in generazione, sul ritmo delle stagioni. La colpa è dei cambiamenti climatici che stanno stravolgendo le vite dei contadini e li stanno trasformando, quando i raccolti diventano inesistenti e non c’è nulla da mettere in tavola, in migranti ambientali. Il villaggio di Sonia si trova lungo il Corredor Seco, un lungo corridoio arido che attraversa sud dell’Honduras, Guatemala ed El Salvador. «Seminiamo e non sappiamo se raccoglieremo. L’anno scorso abbiamo perso tutti i fagioli, quello prima tutto il mais», spiega Sonia. «L’unica alternativa sembra andarsene, ma io e molti altri contadini non vogliamo farlo».
Migranti ambientali al villaggio vicino, Ojo de Agua, sono già partiti in tanti. «Circa 200 persone, su cinquemila abitanti. Tutte donne», racconta Mirna Sagrario Duron, contadina di 54 anni. «Alcune verso la Spagna e altre negli Stati Uniti. Altre ancora sono morte lungo il cammino. Quelle che non sono emigrate, vivono in città, sfruttate come operaie». Molte di loro sono madri single, come Mirna, e devono mantenere da sole la famiglia. Lei per farlo ha costruito nel patio un forno a legna, dove cucina il pane, che va a vendere in città quando ha
«IL COCCO È SCOMPARSO. LO VENDEVAMO SULLE SPIAGGE, ERA LA NOSTRA FONTE DI SOPRAVVIVENZA. NON POSSIAMO SEMINARE: TUTTO SI SECCA O CRESCE LENTAMENTE PER COLPA DELLA SICCITÀ»
bisogno di soldi. Non vuole lasciare la sua terra, che sta cercando di coltivare secondo metodi biologici che permettono di rigenerare il suolo e trattenere meglio l’acqua. La sua vicina di casa, Florinda Márquez, invece è andata via: prima nella città di San Pedro Sula, dove, appena arrivata, è stata aggredita, e poi in Spagna, dove lavora come badante vicino a Barcellona. Come lei, dal Paese se ne sono andate 278 mila donne nell’ultimo anno.
I dati che preoccupano L’ Honduras secondo la rilevazione 1996-2015 del Germanwatch global climate risk index è risultato il più colpito al mondo dagli effetti del cambiamento climatico. Ogni parte è in balia dei capricci del clima, perfino le spiagge che si affacciano sui Caraibi o l’arcipelago di Cayos Cochinos, quello dell’Isola dei famosi televisiva. A emigrare da queste coste sono soprattutto le indigene garifuna, che da secoli vivono in questi scorci da cartolina. In una delle case di legno e rami a pochi metri dal mare, vive Marcia Alvarado, 34 anni. Mentre un pappagallo si dondola sulla porta, sgranocchiando una tortilla di mais, sua figlia esce di casa con il machete per tagliare una noce di cocco. «Lo vendevamo sulle spiagge, ora non c’è più: era la nostra fonte di sopravvivenza. Non possiamo seminare, perché tutto si secca o cresce lentamente a causa della siccità. E, come se non bastasse, i gruppi immobiliari stanno cercando di sfrattarci», spiega Marcia, indicando il vicino resort turistico. Per chi come Rosa, la madre di Marcia, ha trascorso tutta la vita solo qui, il futuro è qualcosa di molto difficile da immaginare. Ha un piccolo orto in cui coltiva yucca, anguria, mais, ma sempre più a fatica, a causa della siccità. Non può sapere che le cose andranno sempre a peggiorare: secondo il Centro nazionale di studi atmosferici, oceanografici e di sismologia in tutto l’Honduras ci sarà una forte diminuzione delle precipitazioni in estate. Entro il 2050 sarà del 20-25% e del 6070% entro il 2090. Indigene in cittˆ M aribel Lino Gamboa, vive a Tegucigalpa, nel quartiere Los Profesores, uno dei più pericolosi della capitale. L’ingresso del
quartiere è controllato da pandillas, gruppi criminali, e le scarpe appese sui fili della luce segnalano dove si vende la droga. Oggi Maribel è malata e andrà suo figlio Jason, 10 anni, a lavorare al posto suo. Prima al panificio, a infornare panini e poi a venderli davanti all’università. Sono passati 17 anni da quando Maribel è arrivata a Tegucigalpa. Quando si è messa in viaggio aveva già quattro figli, ma li ha dovuti lasciare al paese con i nonni. Adesso ha 37 anni e vive circondata da donne come lei: di etnia garifuna, e sole. Nonostante la vita in città sia difficile, non tornerebbe indietro. Con i suoi panini riesce a pagare l’affitto e a mandare a scuola i tre figli che ha avuto dopo essere arrivata a Tegucigalpa.
Le strade per rimanere P er trovare una risposta alle trasformazioni portate dai cambiamenti climatici, alcune contadine si stanno reinventando imprenditrici e persino banchiere. È quello che succede nel villaggio di Las Camelias, dove l’acqua e la luce sono arrivate solo due anni fa, ma dove da vent’anni c’è La Dinámica. Prima associazione spontanea, poi cooperativa sociale, infine cassa di risparmio, è stata fondata da un gruppo di donne tra cui Rosmary Sosa, 50 anni. Mentre cammina tra le compagne che sono già al lavoro, mostra i fagioli, che ogni giorno vengono messi a seccare prima di essere venduti. Una parte del capitale guadagnato viene diviso tra le socie, il resto rimane a disposizione per effettuare prestiti, in caso di necessità personali o raccolti andati male. Il nostro sogno è quello di esportare all’estero. Abbiamo già registrato la marca, anche l’etichetta è già pronta», racconta Rosmary. E non è l’unico desiderio che vogliono realizzare: essere imprenditrici, per loro, significa anche cercare di mantenere unite le loro famiglie. Spiega Mirna del Carmen, altra fondatrice della cooperativa: «Io avevo 27 anni quando abbiamo fondato La Dinámica e non era ancora nato il mio ultimo figlio. Non voglio che lui sia costretto ad andarsene in un altro Paese o in città. Voglio che rimanga».
«NEL NOSTRO VILLAGGIO SONO EMIGRATE 200 DONNE SU CINQUEMILA ABITANTI. ALCUNE VERSO LA SPAGNA E ALTRE NEGLI STATI UNITI. ALTRE ANCORA SONO MORTE LUNGO IL CAMMINO»