Vanity Fair (Italy)

SARÀ ANCORA FERRANTE FEVER?

Mentre al cinema arriva il documentar­io di Giacomo Durzi sulla «scrittrice misteriosa», ecco le prime notizie dal set della serie Tv che Saverio Costanzo sta girando a Napoli

- Di SILVIA BOMBINO

Diceva Hillary Clinton, combattend­o con gli impegni elettorali, in un podcast famoso: «Non posso trattenerm­i, mi ci devo buttare». Sappiamo come è nita a Washington, non sappiamo invece se Elena Ferrante, l’autrice della tetralogia dell’Amica geniale tradotta in 48 Paesi, ci abbia pensato la notte in cui Donald Trump è diventato il nuovo presidente degli Stati Uniti. Mentre in Italia si è indagato, soprattutt­o, sull’identità della scrittrice misteriosa (individuat­a da un’inchiesta del Sole 24 Ore, un anno fa, nella traduttric­e Anita Raja, anche se alcuni pensano si tratti di un lavoro collettivo tra lei, il marito Domenico Starnone e l’editore Sandro Ferri), in America la «Ferrante Fever» che racconta il documentar­io di Giacomo Durzi e Laura Bu”oni (al cinema no al 4 ottobre) è solo quella per i libri. Apprendiam­o, vedendolo, che il titolo dello stesso è lo slogan inventato da un libraio newyorches­e sul cartello appeso alla porta, per una serata di letture. Si aspettavan­o le solite due dozzine di persone: ne sono arrivate duecento. Sullo schermo, dopo la citazione audio di Hillary, non compaiono le star che in questi anni si sono dichiarate «stregate» dalla Ferrante: Nicole Kidman, James Franco, Jhumpa Lahiri, Jane Campion, Amy Schumer. Ma compare Jonathan Franzen, e basta e avanza: «Vagavo in libreria, ho letto la prima pagina e mi sono detto: “Può andare”. L’amica geniale ha circa 400 pagine. Due giorni dopo chiamavo la libreria: “Mi serve il secondo”: pensavo di metterci quattro mesi, sono bastati quindici giorni per leggerli tutti e quattro». Franzen dice le cose più interessan­ti: rivela di essersi commosso alle lacrime, di aver capito che la storia non è autobiograca, di sapere che i quattro libri avranno un seguito, di invidiare alla Ferrante soprattutt­o il non dover andare alle cene con l’editore e il suo sta” e stare «a conversare con undici persone alle undici di notte». Parlano anche i registi dei lm tratti dai primi libri: Mario Martone, per esempio, che aveva invitato la Ferrante a vedere L’amore molesto a ne lavorazion­e, ma lei «non poteva venire». Però poi gli ha scritto: «Caro Mario, ho visto e rivisto il lm. È assai bello». E anche a Durzi ha fatto sapere che il documentar­io «è piaciuto». Saverio Costanzo, invece – che sognava di lavorare con Ferrante dai tempi del suo romanzo La glia oscura e che ha iniziato a girare a Napoli dopo un anno di preparativ­i la prima serie del progetto Neapolitan Novels, otto episodi tratti dall’Amica geniale – sente l’autrice solo via mail. Manderebbe note dettagliat­issime sulla sceneggiat­ura, nelle mani anche di Francesco Piccolo e Laura Paolucci. Le immaginiam­o: nel documentar­io Anna Bonaiuto legge quelle mandate a Martone: «Pagina 56. Toglierei “Delia” dalla battuta di Polledro, in fondo alla pagina. Le si rivolge e basta»). Gli attori, come desiderato dalla Ferrante, sono tutti non profession­isti e recitano in dialetto. Ci aspettiamo che il New York Times, che ha consacrato Gomorra come una delle migliori serie Tv del 2016, appoggi anche questa nuova impresa italiana. L’America, del resto, non vede l’ora di tuffarsi in una nuova «Ferrante Fever».

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