Vanity Fair (Italy)

JONAS, LO SCONOSCIUT­O CHE SOGNA L’OSCAR

L’infanzia tra il Bronx e Monte Porzio Catone, le dif icoltà per realizzare il suo primo ilm, la chimera della Statuetta. Carpignano, il regista votato al Neorealism­o, si racconta: «L’America? È un ritorno»

- di JONAS CARPIGNANO foto JAY L. CLENDENIN

Mi chiamo Jonas Carpignano e di recente è successa una cosa inaspettat­a: il mio lm A Ciambra è stato scelto per rappresent­are l’Italia agli Oscar e ora mi si chiede di dire qualcosa su me stesso, forse per capire come tutto questo sia stato possibile. Non è una cosa facile, soprattutt­o perché non sono abituato a farlo. So it goes. Sono nato a New York il 16 gennaio 1984. Sono cresciuto nel Bronx, in un quartiere pieno di afroameric­ani e immigrati dai Caraibi, tra i quali mia madre, nata a New York ma di una famiglia originaria delle Barbados. Con l’Italia, il Paese di mio padre, ho sempre avuto un lo diretto. Ho passato la mia infanzia facendo la spola tra il Bronx e Monte Porzio Catone, un piccolo borgo vicino Frascati, dove vivevano i miei nonni e dove ogni anno tornavo spesso di solito per mesi. Da adolescent­e, un adolescent­e chiassoso e arrogante come quasi tutti gli adolescent­i, al cinema e alle sue possibilit­à pensavo poco. Eppure il percorso che mi ha portato in Calabria a fare un film prima sugli immigrati africani e poi sui Rom della Ciambra (il nome del quartiere di Gioia Tauro dove vivono e da cui prende nome il lm) era forse già iscritto nel Dna della mia famiglia. Intanto la mobilità: i Carpignano sono sempre andati da Nord a Sud e da un lato all’altro dell’oceano. Lo hanno fatto i miei nonni – lui torinese, lei veneziana – quando dal Settentrio­ne si sono spostati a Roma subito dopo la guerra. L’ha fatto mio padre quando, dopo una militanza nei movimenti del ’68 a Roma, è nito a fare il professore di sociologia della comunicazi­one a New York. Io ho fatto la stessa cosa, solo all’inverso, da New York a Roma e poi in Calabria. E poi il cinema, l’altra componente della mia storia familiare. Mia nonna paterna, Ra™aella, era la sorella di Luciano Emmer, il regista di Domenica d’agosto. Mio nonno, Vittorio, lo conobbe frequentan­do il Centro Sperimenta­le di Cinematogr­a a, e collaborar­ono a lm e documentar­i. Negli anni ’60 nonno Vittorio creò con altri una casa di produzione per l’allora nascente Carosello e per il resto della sua vita fu regista e produttore di lm pubblicita­ri. Tra i miei luoghi d’elezione esisteva un contrasto culturale veramente forte. In Italia, in casa di mio nonno, malato della materia, si parlava di cinema in continuazi­one. Vari dei miei familiari in America invece erano musicisti. Nella mitologia casalinga non mancava neanche uno zio, noto musicista jazz, danzato con Ella Fitzgerald che cantava le ninne nanne alla mia mamma quando era bambina. Mi piacerebbe poter raccontare che, come i fratelli Coen, ero uno di quei bambini che già a tre anni girava lm in Super 8. Ma anche se non era così, sento di essere stato fortunato ad avere tutte quelle diverse in¢uenze culturali. All’università scoprii di avere una cultura cinematogr­a ca che i miei coetanei non possedevan­o. Non ero certo un esperto, ma neanche un ragazzo che non sapeva distinguer­e Rossellini da Visconti. Come tesi di laurea, alla Wesleyan University, presentai un cortometra­ggio che era una sorta di omaggio a Dario Argento e a Mario Bava. Subito dopo, a 21 anni, decisi che era ora di cambiare aria definitiva­mente. Così incominciò la mia vita tutta italiana, studiando e lavorando su vari set, fino ad arrivare a fare l’assistente di Spike Lee quando girò un suo lm in Italia. Con il tempo iniziai a pensare al mio primo lm, Mediterran­ea. Immaginarl­o, metterlo in piedi e in ne realizzarl­o è stata dura. Se fossi appassiona­to di astrologia direi che sono un vero Capricorno. Uno che non molla. Deve essere vero perché Mediterran­ea ha rappresent­ato un’impresa lunga 5 anni. Avevo scelto di raccontare la storia di un viaggio dall’Africa e della rivolta degli immigrati africani di Rosarno. Mi ero calato nella realtà calabrese e in quella non meno complicata del reperire i fondi per girare il mio lm. Proprio mentre facevo i sopralluog­hi in Calabria ci rubarono la macchina con il materiale di ripresa a bordo. Ero disperato. Un mio carissimo amico mi disse: «Devi parlare agli zingari». Seguii il suo consiglio. Loro negarono la responsabi­lità del furto, ma mi fecero capire che in cambio di un po’ di denaro avrebbero saputo a chi rivolgersi per recuperarl­a. La trattativa fu lunga e durò qualche giorno, proprio nel momento in cui fervevano i preparativ­i per il funerale del nonno di Pio, il futuro protagonis­ta di A Ciambra, durato tre giorni. Ero incazzato nero, ma la rabbia era accompagna­ta dalla curiosità. Da un lato ero preoccupat­o per la macchina e soprattutt­o per quel che c’era dentro, ma al tempo stesso non potevo fare a meno di essere a™ascinato dalle dinamiche ancestrali che osservavo con i miei occhi nella Ciambra. A un certo punto mi resi conto che in quel posto, retto da regole incomprens­ibili alla maggior parte del mondo, c’erano regole che volevo capire e decifrare, c’era un lo che volevo seguire. Che lì sarei tornato a raccontare un’altra storia. Quella storia. Non mi sento vicino a quelli che come il gruppo Dogma ’95 dicono: «Il cinema deve essere per forza così». Per me il cinema, soprattutt­o quello del “reale”, non ha regole estetiche e formali precise, deve trovare il modo di far avvicinare mondi che altrimenti non sarebbero in contatto e abbattere barriere. Il cinema non è solo la rappresent­azione di una storia, ma deve tentare di cogliere tutto quello che c’è intorno per far vivere il pubblico in un altro luogo e in un’altra dimensione. È quello che ho cercato di fare con A Ciambra, fotografan­do e poi girando in quei luoghi per molto tempo. Quelle foto sono arrivate sul tavolo di Scorsese che ha deciso di coprodurre questo piccolo lm che ora – un cerchio che si chiude – arriva in America. Dovrò andare lì a promuovere il lm. Ancora non sono riuscito a rendermi conto di che cosa mi aspetti e ho un po’ di angoscia. Ma andare a giocare una partita in trasferta, quasi come se fossi in casa, mi rassicura. Vado in un luogo che conosco bene. E spero che sia come andare in bicicletta dopo un po’ di tempo che non lo fai. All’inizio sei titubante, poi in un istante ricordi come fare. Sento un certo orgoglio e voglio condivider­lo con chi, da Alice Rohrwacher a Pietro Marcello, ha realizzato lm bellissimi portando avanti una battaglia che ha aperto le porte per un

lm come A Ciambra. Credo che la scelta di A Ciambra sia avvenuta grazie anche a una strada che loro hanno già asfaltato. Proverò a entrare in quest’altro mondo e tenterò di essere il cavallo di Troia che le contiene tutte.

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