Vanity Fair (Italy)

Il coniglio sono io

Le opere di Albrecht Dürer (soprattutt­o una) sono per la fotografa BRIGITTE NIEDERMAIR fonte di ispirazion­e. Sintesi perfetta di classico e contempora­neo, rigore e movimento

- Di ANNAMARIA SBISË

La fotografa Brigitte Niedermair è nata a Merano nel 1971. uando è tutto esattament­e come dovrebbe, c’è qualcosa che non va. È l’imprevisto a tenerci agganciati a un film, un viso, una storia, persino una stanza. Senza un pizzico d’inquietudi­ne, l’attenzione sfuma. Possiamo allora considerar­e di grande successo quel bisogno di tornare, sempre, almeno un paio di volte, a riguardare gli scatti di Brigitte Niedermair. Volti statuari e corpi sinuosi, di una precisa estetica sensuale e segreta, progettata come un eterno enigma. Così è la sua arte, ma anche il suo modo di raccontare la bellezza, attraverso la moda e il linguaggio di campagne pubblicita­rie e di tendenza. Statuari omaggi a tacchi alti, luminescen­ti gioielli, volti di modelle, nella lunga collaboraz­ione con Carine Roitfeld a cui si è ora aggiunta quella con Vogue Italia. Il gusto cambia costanteme­nte, Brigitte resta ferma, nella sua firma di sintesi. Un pizzico d’ironia e un tocco surreale, la combinata di desiderio e mistero, che conduce dritti alla seduzione. Come un’indovina dell’antica Grecia, Niedermair crea immagini che pongono domande senza risposte, il segreto della bellezza vaticinato e mai svelato. «Nel dialogo

Qtra l’oscurità dell’errore e la luce della perfezione c’è la vera armonia». D’altronde, è cresciuta così: tornando sempre sullo stesso fermo immagine. Su quell’immobile coniglio di Albrecht Dürer appeso in cucina, nella sua casa di Merano, con quegli occhi che l’hanno fissata per tutta l’infanzia: «Mi sembravano stranament­e consapevol­i». Cosa sapevano? In cerca di una risposta, Brigitte s’immergeva nell’inquietudi­ne di quello sguardo al centro della parete bianco-arancio-marrone, «Orribile». Ma lì c’era un segreto: «La verità della natura e il potere della pittura». C’erano momenti in cui non lo sopportava, così perfetto era diventato un’ossessione. Anche ora, appeso nell’attuale casa, lui c’è: «Il mio lavoro è un eterno inseguimen­to: confrontar­mi con la sintesi della pittura di Dürer». Un esempio? La foto della T-shirt We Should All Be Feminists per la campagna Dior: appesa su una panca, legno e cotone, e basta. «Se avessi fatto indossare quella maglietta a una modella avrei confuso i piani. L’ho fotografat­a come un poster, in modo esplicito e asettico». Il suo lavoro fotografic­o ha i tempi della meditazion­e, la tecnica non è mai digitale, per lei fare centro significa prepararsi molto e poi decidere, con quello sguardo sempre sospeso nel tempo: «L’attualità per me non ha importanza, il dipinto di Dürer stava su una parete coloratiss­ima anni Settanta, contava solo la sostanza dell’immagine». Quel contrasto di Dürer sulla grafica impazzita, l’eterno doppio sfondo che contamina un immaginari­o classico e contempora­neo, di rigore e movimento, bello e brutto. Tutto si muove sul doppio binario in cui non c’è risposta ma ipnosi: «Come nell’immagine di Monna Lisa, così ambigua da essere universale, dentro c’è tutto». L’ambiguità, il sublime segreto, indecifrab­ile al primo colpo. Specie se l’idea di bellezza è affidata innanzitut­to all’ordine interno dell’immagine, la femminilit­à vagamente nascosta: «Amo una fotografia intimista, mi interessa una sensualità che rimanda alla classicità». Suggerita dal coniglio? «Certo, lui è eternament­e magnetico». Niedermair sceglie, tra le bellezze da ritrarre, quelle a cui deve tornare, perché c’è ancora qualcosa da capire: «Ormai sono io il coniglio». Con questo sguardo, Niedermair sta preparando una mostra a Milano, dove ci sarà un ulteriore passo, di sintesi: «L’arte ti avvicina al divino».

 ??  ?? HO UN’IDEA IN TESTA
HO UN’IDEA IN TESTA

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy