INNOCENTI EVASIONI
Nella riforma dell’ordinamento penitenziario, pronta in Parlamento, mancano le risorse per le cosiddette LOVE ROOM. Eppure all’estero, in Paesi sia cattolici sia musulmani, sono ormai una consuetudine
Idetenuti dovranno aspettare ancora: i decreti per la riforma dell’ordinamento penitenziario sono pronti, ma non c’è traccia delle cosiddette love room. Il governo, cui quest’estate era stato chiesto di riconoscere il diritto all’affettività dei reclusi, si è fermato a metà strada, decidendo di tutelare esclusivamente i rapporti familiari, con misure che rimoduleranno per esempio la durata delle visite. Mancano le risorse per dotare le prigioni delle «stanze del sesso», fa sapere il ministero della Giustizia. «Negli istituti penitenziari europei in cui sono autorizzati gli incontri tra partner, ci sono situazioni che lasciano molto a desiderare, è necessario perciò predisporre dei mini-moduli sufficientemente attrezzati nei quali accogliere adeguatamente le coppie», ci spiega il Garante dei detenuti Mauro Palma, che nei giorni scorsi ha visionato il testo della riforma e richiesto integrazioni. Contrario Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe): «Le priorità sono altre, le risorse a disposizione andrebbero utilizzate per innalzare i livelli di sicurezza». Il Sappe ricorda i numeri, per esempio, delle evasioni: circa una settantina da inizio 2017, tra fughe vere e proprie e mancati rientri dai permessi. Di «spazi per la cura dell’affetto», come si dice in linguaggio tecnico, si parla da decenni. Un tentativo d’introdurre gli incontri di coppia nelle carceri già era stato fatto nel 2000, ma il Consiglio di Stato si oppose. Un altro è stato compiuto da Alessandro Zan del Pd, che a fine 2013 ha presentato una proposta di legge a favore del diritto all’intimità dei reclusi, rimasta poi ferma alla Camera. La legge per la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario approvata a giugno, nella quale è previsto «il riconoscimento del diritto all’affettività», poteva segnare una svolta: se ne riparlerà (forse) dopo la Legge di bilancio. Il governo però è in scadenza e anche se dovessero saltar fuori le risorse necessarie appare improbabile che il progetto si realizzi. Intanto nelle carceri italiane oggi ci sono oltre 56 mila detenuti (il tasso di sovraffollamento è al 113,2 per cento secondo l’associazione Antigone). L’unico strumento che i reclusi hanno a disposizione per soddisfare i propri bisogni sessuali è rappresentato dal permesso premio. La legge lo prevede proprio al fine di coltivare gli interessi affettivi: ha una durata massima di 15 giorni e non può superare il limite dei 45 giorni annui. Chi si è sposato durante la detenzione può anche chiedere un permesso per «consumare il matrimonio». Ma solo una ristretta élite di prigionieri, circa il 30 per cento del totale, ha diritto a certi benefici. Oltre all’Italia, sono contrarie alle «stanze del sesso» la Gran Bretagna e la Nuova Zelanda. E negli Usa sono sempre meno gli Stati che prevedono gli incontri di coppia: sono passati da 17 a 4 in meno di 30 anni, complice la necessità di abbattere i costi. Numerose ricerche indicano, tuttavia, che nelle carceri in cui è consentito fare sesso si riscontra meno violenza. Autorizzano questo tipo di visite 31 Stati del Consiglio d’Europa (su 47), più Australia, Brasile, Israele e persino Iran. In Canada i detenuti una volta ogni due mesi possono addirittura trascorrere un intero weekend d’amore con i loro partner. Nel cattolico Messico, dove non bisogna per forza essere sposati per beneficiare del servizio, anche le persone dello stesso sesso hanno diritto agli incontri di coppia. L’India ha autorizzato il sesso in carcere nel 2015, ma solo a scopo procreativo. In Arabia Saudita, dov’è consentita la poligamia, il detenuto può appartarsi con ogni moglie una volta al mese. E in Qatar per i prigionieri in cerca d’intimità sono state costruite all’interno delle carceri persino delle ville.