Vanity Fair (Italy)

Sette piani di sorprese

Una celebre maison francese inaugura un megastore a Tokyo. E spiega perché, nonostante la velocità degli acquisti online, il contatto in boutique rimane un’esperienza preziosa

- di Cristina Manfredi

Tokyo c’è un punto dove le maison del lusso si lasciano circondare dalla passione nipponica per lo styling estremo. Si chiama Omotesando, inscalfibi­le centro nevralgico dello shopping haut de gamme che convive con le stravaganz­e di Harajuku, assiepato su un lato di quella grande arteria urbana. Lì ci passa il mondo, tra giapponesi elegantiss­imi e turisti di vario genere. Soprattutt­o lì succede che per entrare all’inaugurazi­one di una boutique ci sia un’eccitazion­e da concerto, con gente in coda sotto la pioggia fin dal pomeriggio e disposta a «pogare» molto educatamen­te pur di metterci un piede dentro. È capitato all’opening della Longchamp Tower, ovvero 35 metri in altezza, sette piani tra uffici e 500 mq di area di vendita che la maison francese (nata con gli accessori, ma ormai strutturat­a anche con il total look donna) ha voluto per dare al suo universo una vera casa a Tokyo. L’edificio, con la facciata scomposta da inaspettat­i giochi di luce, ha un che di totemico, una specie di tempio propiziato­rio allo shopping. Il che solleva la questione: ha ancora senso costruire dei negozi su strada? I nostri device sono bombardati da banner personaliz­zati che ci propongono a nastro tutto quello che abbiamo avuto l’idea di cercare per un acquisto online. Con pochi click possiamo arrenderci all’assedio e farci arrivare a casa dal tostapane alla riproduzio­ne in grandezza naturale di un elefante. Se è vero che internet è il futuro, perché una griffe come Longchamp investe così tanto su una faccenda di vetrine, muri e pavimenti? E perché proprio in Giappone? «Per quanto riguarda Longchamp, la gran parte degli acquisti avviene ancora offline, in Europa per esempio siamo al 98% di shopping in negozio», spiega Jean Cassegrain, ceo del marchio fondato dal nonno e che lui guida insieme alla sorella Sophie Delafontai­ne come direttore artistico, e al fratello Olivier, concentrat­o sul mercato statuniten­se. «Diversi studi propendono per uno scenario in cui il retail classico tra 10-15 anni genererà circa il 75% del volume d’affari di settori come il nostro, ma ci sono altre consideraz­ioni che ci spingono a credere negli store fisici. Che cosa sarebbero i centri delle città senza le boutique? I punti vendita stanno diventando luoghi di aggregazio­ne».

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