Sette piani di sorprese
Una celebre maison francese inaugura un megastore a Tokyo. E spiega perché, nonostante la velocità degli acquisti online, il contatto in boutique rimane un’esperienza preziosa
Tokyo c’è un punto dove le maison del lusso si lasciano circondare dalla passione nipponica per lo styling estremo. Si chiama Omotesando, inscalfibile centro nevralgico dello shopping haut de gamme che convive con le stravaganze di Harajuku, assiepato su un lato di quella grande arteria urbana. Lì ci passa il mondo, tra giapponesi elegantissimi e turisti di vario genere. Soprattutto lì succede che per entrare all’inaugurazione di una boutique ci sia un’eccitazione da concerto, con gente in coda sotto la pioggia fin dal pomeriggio e disposta a «pogare» molto educatamente pur di metterci un piede dentro. È capitato all’opening della Longchamp Tower, ovvero 35 metri in altezza, sette piani tra uffici e 500 mq di area di vendita che la maison francese (nata con gli accessori, ma ormai strutturata anche con il total look donna) ha voluto per dare al suo universo una vera casa a Tokyo. L’edificio, con la facciata scomposta da inaspettati giochi di luce, ha un che di totemico, una specie di tempio propiziatorio allo shopping. Il che solleva la questione: ha ancora senso costruire dei negozi su strada? I nostri device sono bombardati da banner personalizzati che ci propongono a nastro tutto quello che abbiamo avuto l’idea di cercare per un acquisto online. Con pochi click possiamo arrenderci all’assedio e farci arrivare a casa dal tostapane alla riproduzione in grandezza naturale di un elefante. Se è vero che internet è il futuro, perché una griffe come Longchamp investe così tanto su una faccenda di vetrine, muri e pavimenti? E perché proprio in Giappone? «Per quanto riguarda Longchamp, la gran parte degli acquisti avviene ancora offline, in Europa per esempio siamo al 98% di shopping in negozio», spiega Jean Cassegrain, ceo del marchio fondato dal nonno e che lui guida insieme alla sorella Sophie Delafontaine come direttore artistico, e al fratello Olivier, concentrato sul mercato statunitense. «Diversi studi propendono per uno scenario in cui il retail classico tra 10-15 anni genererà circa il 75% del volume d’affari di settori come il nostro, ma ci sono altre considerazioni che ci spingono a credere negli store fisici. Che cosa sarebbero i centri delle città senza le boutique? I punti vendita stanno diventando luoghi di aggregazione».
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