SI FA PRESTO A DIRE RIFORME
Donne al volante e allo stadio, visti turistici. Ogni giorno arrivano notizie sulla «democratizzazione» dell’ARABIA SAUDITA. Ma in gioco ci sono soprattutto una lotta di potere interna e lo scontro con l’Iran
Che cosa succede in Arabia Saudita? In un Paese ancorato a divieti anacronistici, un giovane principe di 32 anni vuole portare in avanti le lancette del tempo. Rendendo normale ciò che lo è già nel resto del mondo: a partire dal prossimo anno, per esempio, le donne di Riyad potranno guidare l’auto. Gli analisti parlano di una «svolta senza precedenti», come ribadito sulle pagine del Wall Street Journal dall’esperto Mohammed Alyahya. È vero solo a metà. «Dietro l’apertura dell’Arabia Saudita, oltre che una reale volontà riformatrice, si nasconde l’esigenza di accentrare il potere, come dimostrano le decine di arresti tra principi e politici contrari alle novità», spiega Giuseppe Dentice dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. L’artefice del cambiamento è Mohammad bin Salman, noto con l’acronimo da rapper MbS, futuro erede al trono nonché attuale ministro della Difesa. La sua idea è stata varare un piano di riforme ambizioso, «Vision 2030», che punta innanzitutto a ridurre la dipendenza dell’economia dal petrolio. «Dopo il crollo dell’oro nero, il governo ha introdotto per la prima volta le tasse», prosegue l’esperto dell’Ispi, «modificando il rapporto tra governante e governato, un rapporto che anziché essere basato sulla fedeltà ora è legato al raggiungimento degli obiettivi». Da qui la necessità di concedere nuovi diritti: «Ma è sbagliato pensare che è in atto un processo di democratizzazione». La svolta è determinata anche dalla volontà di contrastare l’egemonia in Medio Oriente dell’Iran, la cui influenza in Siria e Iraq è alle stelle. Con l’addio ad alcuni eccessi religiosi dei wahabiti, Riyad spera di convincere l’Occidente a puntare su di lei anziché su Teheran. Per questo è nato pure l’asse tra l’Arabia Saudita e Israele, due mondi finora opposti, ora uniti dal comune nemico iraniano. «L’indebolimento dell’Isis», conclude l’analista, «ha fatto riemergere le rivalità. L’eterno scontro tra Arabia Saudita e Iran rischia però di tradursi adesso in una guerra vera e propria. E il Libano, dopo le dimissioni del premier Saad Hariri, potrebbe essere il teatro di questo conflitto». La crisi libanese riguarda da vicino anche l’Italia. I nostri caschi blu sono impegnati nella missione di pace Unifil dell’Onu, incaricata di tenere sotto controllo Hezbollah, la milizia sciita libanese alleata di Damasco e Teheran.