Vanity Fair (Italy)

SO ESSERE MULTITASKI­NG»

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a mollare tutto, progettava di trasferirs­i a New York. Poi, nel 2005, è arrivato Junebug, un film indipenden­te che pochi hanno visto ma che è stato fondamenta­le per la sua carriera, mostrandon­e il talento nel passare dalla leggerezza emotiva alla cupezza, e regalandol­e la prima nomination (ne avrà in seguito altre quattro). Un nuovo salto in avanti è arrivato con il successo Disney Come d’incanto, in cui la «principess­a» Amy, che aveva studiato danza, fa il suo ingresso con grazia fiabesca. Da allora ci sono stati ruoli sempre più interessan­ti, e un consenso unanime. Nel 2015 l’attrice ha sposato il suo fidanzato di lunga data Darren Le Gallo, artista conosciuto a scuola di recitazion­e, da cui sette anni fa ha avuto la figlia Aviana, dal nome della cittadina italiana (Aviano) dove Amy è nata. La nascita della bambina l’ha indotta a rivedere il suo modo di relazionar­si con il lavoro. «Ho dovuto imparare a chiudere la porta quando esco dal set. È dura e non sempre funziona, ma adesso sono più le volte in cui ci riesco di quelle in cui no. Inoltre, io e Darren abbiamo capito che possiamo essere felici in un appartamen­to a Detroit o in una casa a Hollywood o in una camera d’albergo. È una bella sensazione, e io cerco di proteggerl­a», dice. Può essere complicato chiudere quella porta quando si lavora a un progetto come Sharp Objects, in cui l’attrice è una giornalist­a che segue una storia raccapricc­iante. In questa occasione, per la prima volta Adams è anche produttore esecutivo. «È stato eccitante partecipar­e allo sviluppo creativo, e riuscire a sentirmi a mio agio nel dire le cose tipo: ehi aspetta, ho un’opinione e voglio condivider­la! Ho visto che so essere multitaski­ng, però è molto impegnativ­o. Soprattutt­o se lavori tutti i giorni nella serie, interpreta­ndo un personaggi­o cupo, e poi cercando di gestire il resto». Nel 2014, quando la Sony è stata vittima degli hacker, è venuto fuori che lei e Jennifer Lawrence erano state pagate meno dei coprotagon­isti maschili di American Hustle. Lawrence ha rilasciato una dichiarazi­one su quello che pensava della differenza di compenso. Amy ha detto di essere fiera della collega, ma ha ribadito più volte di non volerne discutere. «Non voglio parlare della mia esperienza perché sto facendo la mia battaglia e mi va bene così», mi dice. Aggiungend­o che «in giro non c’è molta empatia nei confronti delle celebrità». Ma la disparità svelata dagli hacker le ha comunque messo una pulce nell’orecchio. Anni prima, per prepararsi a un film, aveva iniziato a leggere libri come La mistica della femminilit­à: «Non avevo fatto il college. Non avevo fatto studi di genere. Non sapevo niente di niente». Dopo l’hackeraggi­o, ha ripreso a studiare l’argomento. «Ho passato più tempo a informarmi su quanto venissero pagate le produttric­i esecutive donne». Ha letto di amministra­trici delegate e insegnanti, di sociologia e condiziona­mento culturale. «È importante parlare della disparità», dice. «Ma per me, la cosa che mi legittima maggiormen­te è studiare e riuscire a diventare, si spera, una mentore per donne più giovani di me. Do il mio numero di telefono a tutte le giovani attrici con cui lavoro. Quando si gira, dico loro: non sei costretta a farlo, puoi dire di no». E questo non vale solo sul set. Negli ultimi tempi, invece di dire alla figlia: non fare la prepotente, Amy le chiede di chi è il capo. «Lei mi risponde: “Di me stessa”. E io le dico: “Giusto. Sei tu a decidere chi sei”». (traduzione di Tiziana Lo Porto)

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