Quando ero in un fiume di lacrime
Arriva il documentario sulla nascita di JIM CARREY ci racconta perché quel film l’ha liberato dalle sue paure. E come ha cambiato prospettiva sulla vita e la felicità dopo «varie illuminazioni»
Non c’è niente da ridere, non oggi e non per Jim Carrey. Ha la carnagione chiara, il viso un po’ emaciato e il chiodo nero fa risaltare gli occhi gonfi di lacrime. Ha aspettato 18 anni per raccontare di quella volta in cui è sparito per quattro mesi pur rimanendo sotto gli occhi di tutti, doloroso paradosso del documentario Jim & Andy: The Great Beyond - The Story of Jim Carrey & Andy Kaufman Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e su Netflix dal 17 novembre. È il making of del film Man on the Moon, durante il quale l’attore ha messo in stand-by la sua vita per entrare in quella dell’anti-comico Andy Kaufman, scomparso nel 1984. Il risultato ha dell’incredibile: finalmente libero da se stesso, sembra essersi lasciato alle spalle le ombre del passato, compreso il suicidio due anni fa della compagna Cathriona White, a pochi giorni dalla loro rottura. Perché ha raccontato i problemi economici di suo padre che l’hanno costretta a vivere per strada? «È stato catartico: mi ha permesso di affrontare le mie paure, tra cui quella di vivere in un cartone come un barbone, residuo di un ego da cui fatico a staccarmi. Sono tentazioni, come quelle di Gesù nel deserto». Si considera felice? «A volte, almeno non mi sento deluso né depresso, come mi è successo per anni. La pioggia è passeggera: può bagnarmi ma non abbastanza da farmi affogare, come in passato». Che cosa le dà gioia? «Prima la cercavo nella conferma esterna del mio valore, ma non mi accontentavo, volevo di più e niente era mai abbastanza. Poi, dopo varie illuminazioni, ho cambiato prospettiva. A un funerale ci ripetiamo: “Che brava Jim Carrey, 55 anni. Dal 17 novembre è disponibile su Netflix Jim & Andy: The Great Beyond, il documentario sul making of del film Man on the Moon. persona” o “Adesso si trova in un posto migliore”. Lo diciamo perché siamo tutti uguali, parti di un unicum. E infatti quando ho deciso di diventare Andy nel film ho assistito a una sorta di “effetto Lazzaro”». Ha esagerato? «Mai: tutte le mie scelte artistiche, quando recito, dipingo o scolpisco una statua, si basano sul rischio di distruggere quello che creo per raggiungere risultati sublimi». Vale anche per Ace Ventura? «Rappresenta la distruzione dell’uomo egoriferito, con le sembianze di un pappagallo, di cui ho ricreato movimenti e look, a partire dalla capigliatura. E Chris Smith, regista di questo documentario, lo ha capito, non mi ha considerato una scimmia che si masturba per l’altrui divertimento in una parata del cattivo gusto (il riferimento è anche a una scena del film, ndr)». Orgoglioso del risultato? «Non parlo più di orgoglio ma di gratitudine: Andy mi ha regalato la libertà dallo showbusiness. Non me ne frega più niente di essere dimenticato e di quello che penserà la gente dopo la mia morte, vorrei solo lasciar dietro di me energie positive come la scia di un buon profumo». Com’è arrivata la saggezza? «Ho attraversato “il fiume di lacrime”, tutto ciò che ci terrorizza e che esorcizziamo con alcol, droghe, cibo e sesso con gente di cui non c’importa niente. Quando sfidi la corrente capisci cosa sia l’inferno, l’assordante rumore delle preoccupazioni nella tua testa, mentre se ti sintonizzi sulla frequenza degli altri raggiungi il silenzio, il paradiso». Lei ci è riuscito? «Nessuno ci riesce. Ha notato la barba nel documentario? Ecco, l’ho fatta crescere in un momento di vanità… poi sono rinsavito e l’ho tagliata».