Vanity Fair (Italy)

DELL’ONESTÀ

- Caro Massimo,

Per 27 anni sono stata una dipendente pubblica leale, sincera, corretta. Troppo, per alcune persone che non conoscono integrità morale. Quando il clima è diventato insopporta­bile, ho lasciato l’impiego comunale per l’ignoto. «Hai il dovere di andartene da dove non sei felice, da dove non sei te stesso, da dove non ti vogliono»: non recita così l’adagio? Decidere di andare via è stata una scelta pesante, complicata ma necessaria, davanti alla quale qualcuno mi aveva perfino suggerito il meschino espediente di mettermi in malattia e restare a carico dei cittadini attendendo tempi e amministra­tori migliori. Non li ho ascoltati e ho chiuso la porta. Non so ancora che cosa farò della mia vita. Per ora mi resta solo l’immane amarezza di essere risultata a tutti, amici compresi, un’insensata pazzoide, con la cocente delusione di essermi arresa davanti a un sistema di potere basato su favoritism­i e ingiustizi­e. —BEATRICE 1970 del bisogno. L’importante è iscriversi a una delle cordate interne che ti promuovono sulla base dell’appartenen­za invece che della competenza, in omaggio all’aureo principio secondo cui per fare carriera non devi conoscere qualcosa, ma qualcuno. Chi non accetta questa strategia di sopravvive­nza è una minaccia per il branco e va prima isolato e poi espulso. Meglio ancora: messo nelle condizioni di espellersi da solo. Guardati intorno. Il nuovo mantra collettivo non è nemmeno più il «Tengo famiglia» che Leo Longanesi avrebbe voluto incidere sulla bandiera italiana, ma il «Fatti li c. tua» dell’onorevole Razzi, la maschera di un tempo senza ideali. Di recente ho raccontato in television­e la storia del giovane impiegato di un’azienda pubblica milanese che aveva denunciato le ruberie del capo. Nel giro di un paio d’anni ha perso il lavoro, dopo essere stato mobbizzato dai colleghi. Appena un ciclista parla di doping o un funzionari­o di mazzette viene buttato fuori dal gruppo. I panni sporchi, che una volta si lavavano in famiglia, adesso non si lavano proprio più. E la «famiglia» continua a tenerseli addosso, ogni volta più sporchi, deprecando la sporcizia di quelli altrui. E auspicando palingenes­i morali e politiche che riguardano sempre le «famiglie» circostant­i e mai la propria. Quando la situazione diventa insostenib­ile si procede all’individuaz­ione di un capro espiatorio che paga per tutti, affinché gli scampati possano continuare a comportars­i come prima. Sono sicuro che, se potessimo conversare con i tuoi ex colleghi, essi negherebbe­ro l’esistenza dei problemi che ti hanno disgustato. Oppure direbbero che in altre «famiglie» la situazione è molto peggiore: perché non parliamo di quelle? Hai fatto un salto nel vuoto e senza rete. Gli amici ti danno della pazza e dal loro punto di vista hanno ragione. Ma se lo diventassi­mo tutti, forse il mondo rinsavireb­be. Ti ringrazio per la lezione di vita che mi hai dato. Nessuno può cambiare la realtà degli altri da solo. Ma, finché non ci prova, neanche la sua realtà cambierà mai. ANDRƒ DA LOBA

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