Vanity Fair (Italy)

IN GINOCCHIO

Lo strano caso di COLIN KAEPERNICK, «uomo dell’anno» e simbolo della protesta razziale negli Usa, rinnegato dal football

- Di SIMONA SIRI

Per alcuni è il nuovo Muhammad Ali. Per Jay Z, che indossa spesso cappello e maglietta con le sue iniziali, è un idolo. Per GQ Usa, che l’ha messo in copertina nell’ultimo numero del 2017, è l’eroe dell’anno. Invece, per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è un traditore che «dovrebbe cercarsi un’altra patria». Colin Kaepernick è lo sportivo più chiacchier­ato del momento, pur senza scendere in campo. Trentenne, nato in Wisconsin, è figlio di una ragazza madre diciannove­nne bianca (il padre biologico è afroameric­ano) che lo dà in adozione a una famiglia bianca con già due figli, un bambino e una bambina. Colin inizia a giocare a football da ragazzino e nel 2012 diventa profession­ista con la squadra dei San Francisco 49ers che, grazie a lui, quell’anno arriva a giocarsi il Super Bowl contro i Baltimore Ravens. Nel 2013 è, a detta di tutti, il miglior quarterbac­k del campionato, un ruolo in cui si può continuare a giocare anche ben oltre i 35 anni. Nell’agosto del 2016, prima di una partita amichevole, la svolta: durante l’inno nazionale che viene suonato prima di ogni incontro sportivo e che i giocatori ascoltano in piedi con la mano sul cuore, Kaepernick decide di non alzarsi. La volta dopo e quella dopo ancora, e così fino alla fine del campionato, si inginocchi­a: un gesto prima seguito da due compagni di squadra, Eli Harold e Eric Reid, e poi anche da altri in diversi sport. È un segno di protesta contro la violenza della polizia e a favore del movimento Black Lives Matter. «Non starò in piedi a dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte», dice. Nel frattempo la sua protesta diventa globale e la sua immagine pubblica passa da sportivo ad attivista, tanto da irritare Trump, che lo scorso settembre inizia una personale battaglia contro i giocatori di football che seguendo l’esempio decidono di inginocchi­arsi: «La federazion­e dovrebbe licenziarl­i. Sono degli ingrati e dei traditori». Alcuni concordano, molti si schierano con loro: la protesta pacifica e silenziosa durante l’inno nazionale da parte di atleti di colore ha una lunga tradizione. Nel 1968, durante l’Olimpiade di Città del Messico, Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio con il pugno alzato, un’immagine che è rimasta nella storia dello sport. Da marzo 2017 Kaepernick è un free agent, ovvero è sul mercato. Nessuna squadra però lo vuole. E non perché non sia in perfette condizioni fisiche: sta pagando per le sue idee politiche. I 32 proprietar­i di squadre della Nfl, la National Football League, sono tutti bianchi e conservato­ri. Un mese fa Kaepernick li ha denunciati per collusione: si sarebbero messi d’accordo nel non assumerlo. Eroe o traditore sarà la storia a deciderlo. Intanto la maglietta numero 7 dei San Francisco 49ers è ancora la più venduta di tutta la squadra, anche se lui non ci gioca più.

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