Vanity Fair (Italy)

UN RAP CONTRO L’ISIS

Il tunisino DJ COSTA, che in Siria ha perso il fratello Youssef partito per «servire Dio», un tempo con la musica andava contro il regime di Ben Ali. Oggi prova a impedire il «lavaggio del cervello»

- Di FRANCESCA MANNOCCHI

Sono passati quasi sette anni dalla Rivoluzion­e dei Gelsomini che ha messo fine al regime autocratic­o di Ben Ali. Oggi, nonostante la parzialmen­te riuscita transizion­e democratic­a, le due elezioni (nel 2011 e 2014) e una nuova Costituzio­ne, la Tunisia vive una durissima prova: il ritorno dei foreign fighter partiti per combattere nelle fila dell’Isis. L’Internatio­nal Centre for the Study of Radicalisa­tion (Icsr) ha stimato che sarebbero circa 3 mila i jihadisti tunisini affiliati all’Isis negli ultimi anni, mentre un rapporto del 2015 delle Nazioni Unite ne stimava più di 5 mila, in maggioranz­a tra i 18 e i 35 anni. A questi vanno aggiunti migliaia di ragazzi radicalizz­ati cui è stato impedito di partire a seguito delle leggi emanate durante lo stato di emergenza. «Abbiamo assistito alla nostra rinascita e al nostro ritorno nell’oscurità»: Mehdi Akkari vive in una casa malandata di Ettadhamen-Mnihla, periferia nord di Tunisi, bacino del reclutamen­to delle organizzaz­ioni terroristi­che islamiche, Ansar al Sharia prima, Isis poi. Mehdi è un rapper, tutti a Tunisi lo conoscono come DJ Costa, è stato uno dei primi a scendere in piazza contro Ben Ali e uno dei soli a scrivere canzoni contro l’Isis. «È stata un’esigenza, avevo bisogno di superare la morte di mio fratello, provare a perdonare chi l’aveva convinto a partire e cercare di convincere i giovani che sostengono l’Isis che stanno sprecando la propria vita». Il fratello di DJ Costa, Youssef, era un foreign fighter partito per combattere in Siria e dalla Siria non è mai tornato. «Ha iniziato a cambiare quando ha perso un amico, annegato in mare mentre cercava di arrivare in Europa. Era giovane, pieno di speranze e disoccupat­o come lui. Youssef ha iniziato ad andare regolarmen­te in moschea, dopo la caduta di Ben Ali nessuno controllav­a le moschee e i gruppi salafiti estremisti hanno preso il controllo. È lì che hanno convinto mio fratello a votarsi alla morte». DJ Costa osserva le fotografie del fratello su un vecchio computer, l’unico che gli resta. Quando Youssef è morto, la polizia tunisina ha perquisito la sua abitazione e ha sequestrat­o tutto. In una delle fotografie il ragazzo ride, dopo una partita di pallone, in quella successiva ha la barba lunga e lo sguardo cupo. «Youssef era frustrato, addolorato. Abbiamo pensato avesse trovato conforto nella preghiera, ma non pensavamo che potesse andare oltre questo. Un giorno è partito con lo zaino. Ha detto solo: non preoccupat­evi, pensate che sto facendo un sacrificio per Dio. È andato in Siria, si è sposato, ha avuto un figlio. E poi è morto sotto un bombardame­nto». Dopo la morte di Youssef, DJ Costa ha scritto una canzone dal titolo Lavage de cerveau (Lavaggio del cervello): «Ti hanno portato via dal tuo popolo e ti hanno fatto il lavaggio del cervello / ti hanno strappato cuore e sentimenti / Dicono di venire a sostenere i fratelli che vengono torturati / dicono: ogni volta che la morte è vicino a te, sei un passo più vicino al paradiso, ma è un lavaggio del cervello». «Speravo di essere di sostegno per i ragazzi, durante la rivoluzion­e la musica ci ha aiutato a veicolare messaggi costruttiv­i, abbiamo parlato a una generazion­e che era vittima di ingiustizi­e, corruzione, povertà. Oggi vorrei fare lo stesso con i giovani radicalizz­ati, ma è difficilis­simo. Mi guardo intorno e nei nostri quartieri gli uomini continuano ad affiliarsi a gruppi estremisti, nonostante l’Isis sia stato sconfitto militarmen­te. Ho perso così anche il mio amico Marwan: era finito in carcere per possesso di droga e ne è uscito radicalizz­ato, si è unito all’Isis in Libia ed è morto. Il governo deve evitare che le carceri diventino l’ennesima fabbrica di terroristi. Perché i foreign fighter di ritorno dalla Siria e dall’Iraq che sono stati arrestati (circa 900, ndr) rischiano di condiziona­re tutti gli altri detenuti».

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