Vanity Fair (Italy)

PROGETTI SOLO FINO A SERA»

«IL CONTRATTO CON IL TEATRO DURA FINO AL 2020. QUELLA DATA FA PAURA A UNO COME ME ABITUATO A FARE

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quelli brutti che rimuovi o a cui ti ci affezioni troppo». Come si accorge della felicità di chi l’ascolta? «Non hai bisogno di guardare qualcuno per sapere che è felice, senti un calore. Lo stare bene lo senti più nel silenzio che nelle grida di giubilo a fine concerto. È lo stesso silenzio che c’è con chi ami, un silenzio pieno di cose. Ma non si suona per avere emozioni da barattare. Se qualcuno dice: “Voglio emozionart­i”, ti sta manipoland­o». Ci sono dei momenti in cui si ferma e si dice: sono stato bravo? «Piuttosto mi dico: sono stato bene». L’ha mai delusa, la musica? «È come dire: t’ha mai deluso un albero? E il sole? Sono le persone a deluderti, e spesso una parte della delusione è colpa tua. Al limite io ho deluso me stesso attraverso la musica, mi delude il mio corpo che non mi permette di fare quello che voglio». Ha un rapporto fisico con il suo piano? «Beethoven si arrabbiava tantissimo e diceva: se non usi il corpo, non puoi suonare. La musica sono le dita, il respiro, le braccia con cui avvolgi lo strumento. Se suono solo con le mani e la testa, suono male. Io sono un pianista improprio, con due dita che non funzionano, e attraverso il mio piano scopro i miei limiti: ci ascoltiamo sempre io e lui. Ascoltando­lo ho capito che fare troppi concerti è diventato per me molto faticoso. E anche scrivere lo è». Ha smesso di comporre? «C’è tanta buona musica già scritta di cui occuparsi. Scrivo solo se è inevitabil­e, se sento l’urgenza. Se scrivi solo per scrivere, vuol dire che stai cercando il consenso. E, a me, il consenso non è una cosa che interessa». Dirigere le è più facile? «Fisicament­e sì. Ma è lo stesso un grande impegno. Un direttore d’orchestra ha la responsabi­lità dei suoi musicisti: deve farli stare bene, seguirli e guidarli. Più lavoro con le orchestre più mi rendo conto di quanto sia fondamenta­le prendersi cura dell’altro». Che effetto le fa pensare al futuro? «Continuo a vivere vivendo. Fa un po’ impression­e quando sono le cose intorno a parlarti di futuro. Come il contratto che ho firmato con questo teatro, che scade nel 2020. Quella data fa paura a uno come me che ormai si è abituato a fare progetti solo fino a sera. Io ci provo, vado avanti, ma il quanto non lo posso prevedere. Così vivo pensando che futuro è anche solo l’istante dopo questo, e sapendo che dopo di me rimarrà la musica. Io non conto niente». Invece anche la sua storia personale, di coraggio e amore per la vita, è importante. «Se vogliamo parlare della mia storia, io spero solo che sia servita a mettere in luce le mille altre storie come la mia. Di persone che hanno infinitame­nte meno mezzi di quelli che ho io, che ho tantissimi aiuti per andare avanti, a partire dalla musica, che mi aiuta a rubare il tempo. Non sono io l’esempio a cui ispirarsi, ma tutte quelle persone che non mollano pur tra tantissime difficoltà. Gli esempi non fanno mai troppo rumore».

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