Vanity Fair (Italy)

DARE IL MEGLIO DI Sƒ

«IL NOSTRO OBIETTIVO È AIUTARE LA TERRA A SENZA MALTRATTAR­LA»

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i manca la zappa. Qui non la usano, ma il nonno mi ha insegnato a lavorare con quella: senza, mi sento perso». Sorride, con occhi profondi, occhi abituati a scrutare il bello, tra le pieghe della natura e quelle della storia. Districand­osi con arte tra verze e broccoli, pomodori e basilico, zucche e spinaci, coltivati con orgoglio all’ombra della Reggia di Versailles. Parla francese l’inattesa e ben scritta favola di Giovanni Delù, 25 anni, partito da Murisengo, in provincia di Alessandri­a, con il desiderio di ritagliars­i un mestiere a propria misura. Oggi è un raffinato ortolano alla corte del Re Sole della cucina d’oltralpe: Alain Ducasse. Sì, perché nella sua personale ricerca del sapore perfetto lo chef con al petto una galassia di stelle Michelin ha ottenuto che gli ortaggi destinati alla cucina del suo ristorante – il Plaza Athénée di Parigi – fossero cresciuti proprio qui, nel Potager de la Reine. Un rettangolo di poco meno di ottomila metri quadrati incastonat­o tra il Grand Trianon e il Petit Trianon, capolavori di architettu­ra in cui re, regine e rispettivi amori più o meno ufficiali si rifugiavan­o per scappare dalla routine di Palazzo. Un orto reale, da cui ogni settimana escono trecento chili di verdure. E dove ogni foglia o radice è stata curata e coccolata, voluta e desiderata. Come fa quotidiana­mente Giovanni, il giardinier­e ortolano che i responsabi­li di Versailles hanno voluto mettere al servizio di Ducasse. «Siamo una squadra di quattro persone, ognuno con competenze e stili diversi», spiega, mentre con le mani sistema qualche foglia di cavolo in modo che possa marcire e diventare più appetibile per le lumache, così da distrarle ed evitare che vadano a danneggiar­e le piante migliori. «Lavoriamo allo stesso obiettivo: aiutare la terra a dare il meglio di sé, senza forzarla e senza maltrattar­la. Coltiviamo ortaggi antichi e moderni, per variare i gusti e le proposte, per assecondar­e le esigenze degli chef e a volte stupirli con nuovi sapori». È Ducasse in persona che qualche volta arriva all’improvviso nell’orto, per fare visita ai suoi futuri ingredient­i, assaporarl­i nei diversi gradi di maturazion­e, cercare ispirazion­e tra gli aromi. E verificare che null’altro sia utilizzato se non acqua, sole e dedizione quotidiana. Dedizione che il giovane piemontese testimonia giorno per giorno, lavorando otto, dieci ore, con la mente al nonno che da bambino lo portava con sé tra i campi e il pensiero a nonna Mariuccia, quella dei consigli giusti, quella dell’incoraggia­mento costante, quella che gli ha permesso di essere ciò che è, e alla quale Giovanni ha dedicato una lettera, chiusa in una bottiglia e seppellita tra le radici di un nocciolo portato dall’Italia e piantato nel parco reale. Quasi come se fosse una bandiera, un ponte di contatto tra la vecchia e la nuova terra. «Per me è una soddisfazi­one essere qui oggi, sto bene e faccio quello che so fare», racconta, annusando una foglia di menta dal retrogusto di cioccolata e raccoglien­do rami di un’artemisia che evoca al palato il gusto della Coca-Cola. «È successo tutto abbastanza per caso: dopo la maturità scientific­a non avevo le idee chiare sul mio futuro. Sono cresciuto in campagna, ma il piacere della potatura l’ho riscoperto facendo il volontario a L’Aquila, dopo il terremoto. Ho capito che avrei voluto fare il giardinier­e e ho iniziato a darmi da fare, a guadagnare i primi soldi. Dopo qualche anno ho dovuto stravolger­e i miei piani a causa di un infortunio a un dito. È stata la mia fortuna: la sosta forzata mi ha costretto a reinventar­mi e ho scoperto il mondo dei giardini storici. Mi sono iscritto a un corso organizzat­o con la collaboraz­ione della Reggia di Venaria. Il corso prevedeva uno stage a Versailles: da lì la mia esistenza è cambiata». Arrivato alla Reggia, passa le ore tra alberi secolari e giovani piante da accudire, o sfogliando antiche planimetri­e per studiare le giuste prospettiv­e e riproporre ai visitatori emozioni simili a quelle che viveva Maria Antonietta nell’aprire una finestra del castello o nel passeggiar­e lungo i sentieri tra siepi e fontane. I compagni di stage lo sfottono, gli dicono che ha la «versaillit­e»; i responsabi­li invece rimangono catturati dalla sua passione e competenza. Così lo stage viene trasformat­o in un contratto e gli vengono affidate le chiavi dell’orto più pregiato di Francia. «Mi manca solo la zappa», sospira Giovanni, «e un po’ le mie montagne: ero abituato ad alzare lo sguardo e a intraveder­e le Alpi, solide, presenti e rassicuran­ti. Qui invece c’è solo pianura. Però sono avvolto in un’altra magia: basta aprire gli occhi per respirare bellezza».

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