Basta un poco di zucchero
Cromatismi e decori, consistenze e impasti: per CRISTINA CELESTINO inventare design ha il piacere goloso di una millefoglie. O di una marmellata
La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi. Si possiedono ali, si attraversa la logica, bacchette magiche aprono ogni porta. Ogni tanto l’incanto accende anche la realtà, degli occhi di un bambino spalancati sui colori di una pasticceria, di quelli adulti sospesi in una stanza, in cui tinte e forme sembrano galleggiare. Possono succedere entrambe le cose, in un ambiente disegnato da Cristina Celestino, l’architetto che lascia scorrere la sua matita per creare scenari seducenti come pasticcini. Un morbido susseguirsi di cromatismi e intarsi, riflessi ottici e impasti materici, sono gli ingredienti di contemporanea femminilità con cui quasi sembra, e capiremo perché, che l’architetto Celestino cucini l’incanto di ogni singolo pezzo di design. Tavoli e sedie, specchi e poltrone, luci e paraventi, passano attraverso il suo prisma posto tra fantasia e realtà, che amalgama volumi calcolati al millimetro, in un’appetitosa pastellata armonia. Laurea a Venezia, lavoro d’architettura, poi il design d’interni: «Quell’accanimento sul dettaglio costruttivo, non era la mia scala». La sua ha forme tonde, calcolate proporzioni, «Traffico molto con il metro», cambi di funzione e colpi di luce. Un mondo elaborato nello studio Attico a Milano, che dal Salone Satellite 2012 è arrivato a Miami Basel 2016 con l’itinerante Happy Room di Fendi, quest’anno la boutique Sergio Rossi in Faubourg SaintHonoré, passando attraverso il successo delle pareti Plumage di BottegaNove, un impasto ottico e materico di ceramica decorata o porcellana tinta in pasta che sembra muoversi, a ritmo lucido-opaco, come un tridimensionale piumaggio d’uccelli. Il gioco delle consistenze tra ottone, ceramiche e legni laccati, lucido e opaco, è sempre in calcolato contrasto. Come in una buona torta, per chi è goloso, come lei: «La crema di una millefoglie deve accompagnarsi a cialde ben croccanti». Lo zucchero, dolce ossessione che ha accompagnato la sua vita, conta molto: «Da quando sono in posizione eretta ho aiutato a mescolare impasti e ho ripulito ciotole». Seguono le torte fatte in casa dalla mamma nascoste in alto e regolarmente trovate, le merendine sotto il banco che non arrivavano alla seconda ora di scuola, la Prima Confessione in cui il peccato è la golosità e la punizione una marea di Ave Maria, fino alla celiachia, 2005. Oggi, costretta a mediare tra ingordigia e glutine, Celestino è marmellata dipendente, un vagare di cucchiaiate, da quelle fatte in casa alle peggiori da supermercato: «Se manca esco anche in pigiama, serve per la prima colazione ma anche a fine pasto». Gusti preferiti tutti, ma resta imbattibile quella di albicocche cucinata a 14 anni: «Inaudita». Lo zucchero, conta molto. Nella marmellata evita pentoloni che lessano la frutta, le casseruole mantengono forme e colori. Si segnalano quelli tondi e glassati, di golosa visione di design, del pouf Charlotte. L’impasto di soffice pelo e movimentata trasparenza di Etere, sperimentale intarsio di tradizione e avanguardia, ovvero resina e pelliccia. C’è impasto anche nelle collezioni Gonzaga e Giardino all’italiana per Fornace Brioni, un cotto che rilegge italiche geometrie con curve e colori dolci, effetti di ceramica smaltata: «Colpi di lucido su materiale povero». Colpi di lucido che usa su torte, abiti e arredi: «Il materiale vibra, non è fermo». Era verde brillante la torta di compleanno appena creata per la figlia Bianca, il rosa e rosso dei fiorellini di zucchero a contrastare la morbidezza: «Con la consistenza perfetta, il sapore si sprigiona nel tempo». Come in ogni buon design, e nel krapfen alla crema che vorrebbe mordere di nuovo, come in un incanto.