DEI GIOVANI
a legge elettorale c’è, la legge di bilancio pure, il biotestamento anche. Lo ius soli ancora no, ma era prevedibile. Tutto è pronto per procedere dritti verso il voto. La campagna elettorale non è granché, molti insulti, molti berci, molto populismo diffuso, e non sempre appannaggio solo del M5S che pure ha una certa esperienza, tra chi vuole dare mille euro di pensione e dentiere gratis per tutti (Silvio Berlusconi), chi vuole «abolire la povertà» (Alessandro Di Battista) e chi voleva rottamare Bankitalia e poi si è tirato la zappa della commissione banche sui piedi (Matteo Renzi). Sicché verrebbe voglia di accodarsi e fottersene, «fare del qualunquismo un’arte». Eppure ci sono alcune cose di cui il prossimo governo dovrebbe occuparsi.
Lvere trent’anni in questo Paese è difficile. Qui non si vuole fare il solito peana sulla fuga dei cervelli, che è una scemenza da cultura del piagnisteo (ma come? Un sacco di discorsi sulla generazione Erasmus e gli Stati Uniti d’Europa e poi il problema è se i giovani se ne vanno a far fortuna altrove? E dove starebbe il fallimento?), ma descrivere una condizione: i giovani oggi sono meno occupati rispetto a classi d’età più anziane, hanno redditi più precari e avranno pensioni inferiori rispetto a chi li ha preceduti. Se la povertà riguarda il 4 per cento circa degli over 65, tra i giovani sotto i 18 anni raggiunge il 12 per cento. Un dato che nell’ultimo decennio è aumentato dal 4 per cento del 2005, nella classe d’età 18-34, al 10 per cento del 2015 nella stessa classe d’età.
An campagna elettorale, come si vede, tutti promettono qualsiasi cosa (tanto
IIl Pianeta Rosso? Meglio che la Nasa torni prima sulla Luna. Ordine del presidente Usa, Trump. aprire bocca è gratis). Tagliare il debito pubblico però non va molto di moda e quindi non se ne parla. Stando agli ultimi dati della Banca d’Italia, abbiamo raggiunto i 2.300 miliardi di euro di debito, oltre il 130 per cento del Pil. Sono solo numeri, si dirà, che vuoi che sia. Eh no, sono un bel po’ di quattrini: 35 mila euro di debito a testa per 60 milioni di abitanti. Le cause di questo enorme debito, che negli anni Ottanta esplose passando dal 63 per cento nel 1982 al 105 per cento del prodotto lordo nel 1992, sono molte, compresi certi eccessi delle amministrazioni dello Stato. Per ridurre il debito serve una gestione della finanza pubblica accorta e una crescita costantemente sostanziosa del reddito lordo. L’Osce ha previsto al rialzo la crescita del Pil portandola all’1,6 per cento per il 2017 e all’1,5 per il 2018. Bene. Questo però non autorizza a dimenticare i miliardi di debito pubblico. Anche perché quando arriva il conto c’è bisogno di qualcuno che paghi. Ah, a proposito: che fine ha fatto la spending review, la famosa revisione della spesa? uelli di sinistra dicono che la «meritocrazia» è un concetto di destra, perché non tiene conto dell’uguaglianza. Eppure che cosa c’è di più divertente della competizione? Non tutti sembrano pensarla così, lo abbiamo visto in questi anni in Parlamento. Nella legislatura che si sta concludendo abbiamo assistito al trionfo della mediocrazia, tra parlamentari eletti con pochi clic e nominati dopo essere stati pescati tra gli amici degli amici. Per questo la politica nel 2018 non può non porsi il problema della selezione della classe dirigente nei partiti. L’improvvisazione mischiata a sicumera e burbanza genera mostri; la politica, anche per riconquistare una fiducia perduta, dovrebbe piuttosto selezionare i migliori. Solo che c’è un piccolo problema con «i più bravi»: possono anche rompere le scatole. Se sono considerati bravi è perché hanno fatto qualcosa per essere stimati, quindi sono autonomi, a differenza di altri che vivono di luce riflessa. Il problema è che viene scambiata la lealtà a un progetto politico con la fedeltà. Eppure, come si legge nel Discorso agli Ateniesi di Pericle riportato da Tucidide: «Per quanto riguarda le leggi per dirimere le controversie private, è presente per tutti lo stesso trattamento; per quanto poi riguarda la dignità, ciascuno viene preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo in cui sia stimato, non tanto per appartenenza a un ceto sociale, quanto per valore». È il valore delle persone ad assegnare loro le responsabilità pubbliche.
Q