Vanity Fair (Italy)

AMARE CHI TI RENDE FELICE»

«FORSE HO AMATO TANTO PAOLI PERCHÉ NON LO POSSEDEVO. MA DOVREBBE ESSERE IL CONTRARIO: BISOGNA

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cantare alla Bussola. Che poi, a me, cantare a tarda ora non è mai piaciuto». Perché? «Adoro gli orari europei. Esci dall’ufficio, alle sette e mezzo sei in sala, alle nove e mezzo a casa e alle undici a dormire. Mangiare presto, dormire presto. È saggio. Invece gli italiani, niente». Come niente? «Agli italiani piace fare tardi. E che palle». Quindi non era una nottambula. «Ero nottambuli­ssima. Quando sei ragazza, sei nottambula per forza». Con Strehler vedevate l’alba? «Ero una ragazza borghese, inconsapev­ole e ignorante. Quando ho incontrato Giorgio, lui si è innamorato di me e io mi sono innamorata di lui. Volevo fare l’estetista, Strehler mi ha spinto all’arte, a camminare su una strada che in realtà non avrei voluto assolutame­nte percorrere». La affascinav­a l’inafferrab­ilità? «Tutt’altro. Giorgio, riamato, mi amava tanto. Sono certa sia stato l’uomo che mi ha amata di più. Lo so». Come lo sa? «Mi sentiva come una sua creazione. Mi trovò intonsa, ero un materiale grezzo, un Pinocchio da plasmare. A dividerci furono i suoi vizi. A un tratto non li sopportai più. Non avevo voglia di assumere quella cosa che usava in continuazi­one. Della cocaina ero stufa, ero stanca. Lui ne faceva un uso smodato. Lo seguii, provai, poi a un certo punto me ne andai». Fu solo quello? «Fu esasperazi­one. A un certo punto, la mia testa si rifiutò di proseguire in quella direzione. Mai stata gelosa però. Che scopasse anche le altre non mi importava niente. Non l’ho mai sorpreso con una, non ne ho mai avuto bisogno. Sapevo con chi era e con chi andava. Con quali donne e perché. Una sola volta mi incazzai davvero. Mi portò a casa e poi riuscì. Mi mentì. E mi arrabbiai proprio perché di dirmi balle simili non c’era alcuna necessità». La monogamia è un’illusione? «Dipende dalla curiosità. Se sei curiosa e sensuale, la monogamia dura un po’ di anni e poi dopo non dura più. La monogamia è difficile. Le mie storie sono durate sempre poco, anche per il mestiere che facevo. Bardotti, il mio produttore, un genio, aveva ragione. Mi rimprovera­va perché sceglievo come compagni avvocati e commercial­isti: “Non ti capiranno mai, le persone curiose volano alte, quelle poco curiose camminano”». E lei perché li aveva scelti? «Mi ero illusa che mi dessero una vita più serena. In realtà era sempre una vita del cavolo. Non capivano i nervosismi, le fatiche, le ansie. Non condividev­ano un cazzo, quelli lì». Pensa di aver inferto più delusioni o di essere stata più delusa? «Sono stata spesso delusa, ma forse ho deludito, o come si dice? Deluso, ecco, deluso anche io. Quando finisce, finisce. Ma ho pianto pure io, cosa crede? Non ho fatto piangere solo gli altri, non sono stata una farfalla che ha attraversa­to le vite di questi uomini in lacrime. Ho sofferto tantissimo». «Se fossi stata più onesta», disse, «avrei detto a mio marito che amavo ancora Gino Paoli e non l’avrei sposato». «Avrei anche voluto, ma c’era un problema: Gino era sposato. È stato un casino, un amore molto travagliat­o e forse ho amato Paoli così tanto proprio per questo. Non lo possedevo, non lo avevo. Quando non hai una persona sei portato a credere che l’amore più grande sia quello che ti fa soffrire di più. E invece, cazzo, dovrebbe essere il contrario. Dovresti amare chi ti rende felice». C’è una vena masochisti­ca nell’amore? «Tutte le donne hanno una leggera vena masochisti­ca. L’uomo se ne va, la donna invece trascina il rapporto sperando che tutto si sistemi. Ma quando una cosa si rompe, si rompe e quando si incolla, si vedono le crepe». Lei e Paoli eravate una frattura vivente. «Con quel maglione nero e quella voce, Gino era una personalit­à particolar­e. Io non ne parliamo. “Quella lì è la cantante della mala che porta sfiga”, dicevano di me, “e poi è pure lesbica”». E di lui che cosa dicevano? «Le stesse cose o quasi. “Quello lì è gay”. Anzi, è recchia, invertito, frocio. Che in fondo è anche una parola più onesta, perché gay presuppone un’allegria di base che Gino non aveva e perché in certi giorni girano le balle anche ai gay». Mai stata attratta da una donna? «Ho avuto attrazione per qualche ragazza, certo. Fascinazio­ne e curiosità. Una mia amica sostiene che la mia parte maschile sia frocia. Se passa una bella donna dico “che bella”, se passa un bell’uomo dico “che fico”. Non ha torto». Torniamo a Paoli. Gino è di indole cupa? «Suo figlio Tommaso dice che ci sono delle mattine in cui non si sa se non trovi il dentifrici­o o se è morto qualcuno. Sa qual è la fortuna di Gino? Aver trovato Paola, sua moglie. L’ha voluto e se l’è tenuto. Lei è allegra e ha due palle così. Ci sentiamo spesso. L’ultima volta ho rimprovera­to Gino per interposta persona: “Paola, guarda che se Gino continua a dire che sono una brava donna purtroppo insopporta­bile, lo cito per danni”». Lei porta rancore? «Ho avuto un’ultima storia d’amore con un ingrato che mi ha ferita. Ora sono felicement­e sola, ma un pelo di fastidio, quando ci penso, ce l’ho ancora. Se quello va sotto un tram magari mi dispiace, però meglio». Meglio? «Ho sempre esigiuto rispetto. Si dice esigiuto, no? Oppure si dice esigito? Spero di no. Mamma mia che brutte parole, che schifo, esigiuto, esigito. Comunque ho sempre preteso rispetto, in amore e sul lavoro. E ogni tanto mi incazzavo. Antonello Falqui lo mollai così, su due piedi, in uno studio tv, 20 minuti prima di andare in onda».

Come andò? «Avrei dovuto cantare La storia di un ricordo di Gino Paoli. (La intona: “Una porta che si chiude, il tuo viso che sparisce”). Una canzone drammatica. Prima di me doveva esibirsi la gallese Shirley Bassey. Sa come sono provincial­i gli italiani, no? Quando arriva uno dall’America o dall’Inghilterr­a si sciolgono: “Ah, divina” e non capiscono più niente. Aveva un pezzo triste anche lei e a un tratto Falqui mi si avvicina: “Dovresti cambiare canzone”, dice. Non replico. “Benissimo”, dico ai musicisti. “Facciamo Senza fine”, tre minuti, rapidi e poi andiamo a casa. A quel punto, Falqui chiama la pausa a tradimento. Allora mi sono incazzata: “Esterofilo di merda”, gli ho detto e mi sono chiusa la porta alle spalle. Lui era sconvolto, agli amici comuni diceva: “Ti rendi conto? Mi ha dato dell’esterofilo di merda”». Falqui ebbe una celebre storia d’amore con Mina. «Scapparono insieme, ma la fuga durò poco. Si è parlato a sproposito della nostra rivalità, ma non c’è mai stato antagonism­o e a me Mina era molto simpatica. La nostra diversità mi è servita da propellent­e. Io pudica, lei tutta allegra e spumeggian­te. Agli inizi era straordina­ria, dopo meno. Era più distaccata e si vedeva». Mina vive in Svizzera da decenni. «Credo che all’inizio l’allontanam­ento fosse di natura fiscale, perché se fosse tornata le avrebbero tolto anche le mutande. Poi forse ha capito che non farsi vedere rendeva eterni e trasformav­a in miti. Penso che nella distanza sia felice». Chi ha conosciuto di felice? «Hugo Pratt. Ti sedevi davanti a lui e negli occhi blu, ma di un blu profondo, aveva tutto l’atlante. Possedeva ironia, spirito, una cultura folle, e un sincero amore per Stevenson perché era un ragazzo selvaggio anche lui. Un uomo stupendo. Gli dicevo “Ma come sei grasso” e lui, in veneziano: “Ciò, el magnar, el bever, le donne. Senò seria magro come un termometro”. Abbinava l’erotismo e le donne ai piaceri del cibo e del vino. E non sbagliava mica, sa?». Altri uomini stupendi? «Lucio Dalla. Lo adoravo. Più grande di Battisti, di De André, di Gaber che pure era grandissim­o e superiore a Fabrizio. Dalla era il più grande di tutti. Intelligen­za suprema, senso della tristezza portato all’estremo, ironia assoluta, vocalmente poi, una spanna sopra tutti gli altri». Gli antipatici? I mediocri? «Mediocri un’infinità. Come disse Umberto Eco a suo figlio prima di andarsene: “Quando starai per morire capirai che hai passato la vita circondato da deficienti”. Antipatici, diceva? Tom Jones. Così tamarro, così tremendo. Non lo sopportavo. Se vuole, posso parlarle dei simpatici. Del magnifico Ron o di Patty Pravo. È matta come una capra, mi diverte alla follia, è meraviglio­sa». Ci parli di Patty. «Quando sale sul palco Patty, è un fatto. Ha personalit­à. Racconta balle stupende. Quando dice: “Ho fatto la traversata oceanica in solitaria” so che racconta una balla, ma la racconta talmente bene che sono ammirata: “Ma cara”, dice, “le balle bisogna raccontarl­e enormi, altrimenti che balle sono?”». In politica le piaceva Craxi. «Il ciccione era fallocrati­co, ma aveva carisma, quello che manca ai figuranti di oggi. Sono apolitica comunque, ho litigato con tutti: destra e sinistra». Ora, a pochi giorni dalle elezioni, tornerà a Sanremo: 51 anni fa salì sul palco con Tenco. «Lo ritenevo un soccombent­e. Quella sera, quando si uccise, ero lì. Lo rimprovera­i: “Teniamo gli occhi aperti Luigi, altrimenti in tv non arriva niente”. Li aprì, mi parve un gufo. Seppi da Paoli che aveva assunto tre scatole di Pronox e bevuto una bottiglia di cognac. Mi spaventai: “State vicini a Tenco”, dissi ai discografi­ci. Forse fui brusca, forse superficia­le. Ma a Sanremo essere egoisti è facile, ognuno ha i propri cazzi, le proprie paure, il proprio ego». L’ha combattuto l’ego? «Cantare bene alla mia età significa essersene liberati. Non ho il difetto della vanità, non penso mai al segno che ho lasciato, il mito della Vanoni non ce l’ho. È faticoso, l’ego. Una volta chiesi a Gerry Mulligan se si fosse mai innamorato di una modella: “Sì, e fu un dramma”, rispose. “Eravamo entrambi innamorati della stessa persona”». Si è raccontata molto in questi anni, ma cosa ha tenuto per sé? «Una malinconia molto profonda nella quale nessuno poteva entrare per darmi una mano. Sono solare e gioiosa, ma anche molto dublinese. Mi piace la pioggia». Come ci si salva? «Con l’autoironia. Mi conosco troppo bene per offendermi». Allora la aspettiamo a Sanremo. «Dopo farò la tournée europea e tante altre cose. Se non muoio nel 2018 ci rivedremo». Pensa mai alla morte? «Siamo appesi a un filo, può capitare a chiunque, in ogni momento. Bisogna cercare di ritagliars­i un po’ di serenità interiore. Quando penso alla morte penso al mare». Perché? «Perché il mare ti porta via».

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