Vanity Fair (Italy)

Il posto degli insicuri

La scrittrice americana CATHERINE LACEY immagina un mondo in cui si cerca di risolvere il problema della fine dell’amore

- di LAURA PEZZINO

Si intitola Le risposte, il secondo romanzo di Catherine Lacey, ma è pieno di domande. «Qual era l’assetto, quali erano le regole del mondo, di un corpo? E perché aspettavo ancora delle risposte pur sapendo che non sarebbero arrivate?»: a parlare è Mary, la protagonis­ta di questa storia ambientata in una New York non-luogo dei giorni nostri. Tutto inizia quando il suo corpo comincia a parlare o, meglio, a urlare: prima la schiena, poi la testa, uno sfogo cutaneo, strani bozzi, zero sonno. Le prova tutte, ma l’ultima spiaggia sembra essere il PAKing (Pneuma Adaptive Kinesthesi­a), praticato dall’enigmatico Ed a botte di oltre duecento dollari a seduta. Mary, che ha un passato tra La casa nella prateria e Unbreakabl­e Kimmy Schmidt dal quale si è (quasi) tirata fuori, deve cercarsi un secondo lavoro e si fa tirare dentro all’ «Esperiment­o Fidanzata». Qui la storia, che già seguiva due filoni (psicosomat­ico e rifiuto delle origini), si triforca: Lacey si immagina, provocator­iamente, una fantomatic­a associazio­ne, guidata da un certo Kurt, che vuole risolvere il problema, tautologic­o, del perché le relazioni finiscono. Per farlo, utilizza un sistema di «biotecnolo­gia indossabil­e» da alcune fidanzate-figuranti, ognuna svolgente una determinat­a funzione amatoria (sentimenta­le, materna, arrabbiata). La trama, bizzarra e a tratti allucinata, porta da qualche parte, ma il punto forte del romanzo sta nell’analisi che fa di quello stato di limbo sentimenta­le in cui si trova oggi una certa generazion­e di trentaquar­antenni, bloccati tra i prodotti della digestione della liberazion­e sessuale e la mancanza di punti di appiglio esistenzia­li. Alle religioni dei padri, si sostituisc­ono rimedi olistici e performanc­e tecnologic­o-digitali (leggi Tinder & Co.) che lasciano, in ogni caso, un sapore acre. Nelle Risposte, il tentativo di dissipare il costante stato di incertezza dei protagonis­ti assume un aspetto normativo (si propongono «regole», «manuali», «manifesti») destinato a fallire. Nel romanzo precedente, Nessuno scompare davvero (2015), la protagonis­ta mollava tutto e se ne andava in Nuova Zelanda, per poi scoprire che «anche se fossi rimasta lì per il resto della mia vita, per sempre dispersa, io non sarei mai potuta scomparire da me stessa, non avrei mai potuto cancellare la mia vera cronologia». E, forse, il seme di una risposta si trova proprio qui, nell’accettare l’incertezza come una chiave di felicità. Che altro non è che la «capacità negativa» di cui parlava John Keats, «quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione». O, come dice a un certo punto Mary: «Ci dovrebbe essere un posto per la gente che non è sicura».

 ??  ?? LA CURA L’americana Catherine Lacey, 32 anni, autrice delle Risposte (Sur, pagg. 332, ¤ 17,50, trad. T. Ciuffolett­i; dall’8 febbraio).
LA CURA L’americana Catherine Lacey, 32 anni, autrice delle Risposte (Sur, pagg. 332, ¤ 17,50, trad. T. Ciuffolett­i; dall’8 febbraio).
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