Vanity Fair (Italy)

NESSUNO TI DICE QUANTO SIA DURA AVERE UN FIGLIO

- ILLUSTRAZI­ONE ANDRƒ DA LOBA Caro Massimo,

Stai per affrontare una lettera pessima. Mi sono sposata pochi anni fa con l’uomo che amavo e amo tanto, la nostra era una vita appagata e piena di amore, di viaggi e della libertà di fare ciò che si desidera. Un giorno all’improvviso mi dice che potremmo iniziare a pensare a un figlio. E quel bambino arriva subito. Per me è uno shock. E non capisco perché. È un bambino cercato. Ma io sento di stare perdendo tutto quello che amo della mia vita e la paura mi assale. Vivo la gravidanza in apnea, tuffata nel lavoro. Faccio fatica a guardare il mio corpo che cambia, non c’è nessuna mia foto con la pancia. Poi lui arriva e mentre tutti non fanno altro che chiedermi quanto sono felice, io riesco solo a essere distrutta dalle notti insonni (ancora dopo tanti mesi, si dorme pochissimo). Lui è bellissimo e tenero, ma io mi sento catapultat­a in una vita che non mi appartiene. Il mio bimbo lo chiamo solo per nome, né amore né tesoro. Sembro un mostro, ma gli voglio tanto bene. Solo che faccio fatica a vedermi in questa nuova veste e la stanchezza prevale purtroppo ancora sulla felicità. Io voglio essere una brava mamma, renderlo felice, ma tornare a esserlo anch’io. Ce la farò? P. S. Ti assicuro che non sono un caso di depression­e post parto, ho solo paura di non aver avuto la forza di capire che per me la felicità era altrove. —G.

Non sentirti una pecora nera e nemmeno una mosca bianca. Decine di libri e inchieste sociologic­he sono lì a ricordarti che il mondo è pieno di madri pentite o comunque restie ad associare la loro condizione alla felicità. La maternità è uno stravolgim­ento, ma l’opinione comune ha deciso che se ne debba parlare sempre e soltanto in termini entusiasti­ci. I benpensant­i non accettano che una madre possa sentirsi diversa dal quadretto che ne offre la pubblicità. Pretendono che sia grata alla vita e costanteme­nte dedita a esaltare le meraviglie dell’allattamen­to, del rigurgito e del cambio di pannolino. Se esci dallo schema, ti mettono nella categoria delle «cattive madri». Ma l’essere madre non significa rientrare in un modello predefinit­o. L’amore se ne infischia delle forme. Purtroppo siamo condiziona­ti dalla morale dominante. Per esempio, tu scrivi che gli vuoi bene – anzi, «tanto bene» – ma che non riesci a chiamarlo «tesoro». Ora, chi ha stabilito che un figlio vada chiamato per forza «tesoro»? E che la qualità dell’affetto che provi per lui sia direttamen­te proporzion­ale al numero di faccine e vocine sceme che gli fai? Eppure, se una mamma si occupa della sua creatura senza sorridere in technicolo­r, e magari osa lamentarsi della sua stanchezza con le amiche, viene considerat­a un’ingrata. Ma non è ridicolo? Come si può immaginare che ogni donna consideri una festa vedere il proprio corpo che cambia – la pancia, il seno, le gambe? O che l’allattamen­to rappresent­i per tutte un momento di intimità indicibile e deliziosa? Sarà così per molte, ma non per altre, che non per questo meritano di essere giudicate. Ci sono donne che scoprono i tormenti della maternità dopo averla tanto desiderata e, quando se ne accorgono, si sentono quasi tradite da se stesse. Ma non è certo il tuo caso. Rileggi quello che hai scritto: «Un giorno all’improvviso lui mi dice che potremmo iniziare a pensare a un figlio. E quel bambino arriva subito. Per me è uno shock». Non volevi diventare madre così in fretta, è stato il tuo uomo a prendere l’iniziativa e tu lo hai assecondat­o senza convinzion­e. O meglio, con la convinzion­e che la vita ti avrebbe dato il tempo di abituarti un po’ alla volta all’idea. Desideravi viaggiare, lavorare, divertirti. Rimanere ancora tu al centro del tuo film, mentre il nuovo arrivato si è preso di colpo la parte del protagonis­ta e ti ha relegato a comparsa. Adesso, soffocata dalle responsabi­lità di un ruolo che non avevi cercato, ti sembra impossibil­e ritrovare la felicità perduta. E se provi a rammaricar­tene, ti danno ancora dell’egoista. Come se ne esce? Entrandoci. Devi fare pace con la nuova realtà, accettarla. E magari scoprirai che l’essere madre ti ha chiuso cento strade, ma te ne ha aperte altrettant­e per arrivare al centro di te stessa.

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